Monte Paschi di Siena, Rai Way, Eni, Poste Italiane, forse Ferrovie e tante altre aziende di stato nella lista delle privatizzazioni del governo Meloni. Obiettivo: incassare 20 miliardi di euro in tre anni. Un tema sul quale si stanno concentrando da giorni i quotidiani del Gruppo Gedi, di proprietà della famiglia Elkann e che edita tra gli altri Repubblica La Stampa. Un titolo ha attirato (in negativo) le attenzioni della premier: “L’Italia è in vendita”. E il capo dell’esecutivo non le ha mandate a dire: “non accetto lezioni di italianità da coloro che hanno venduto la Fiat ai francesi”.

Riferimento fin troppo chiaro proprio alla famiglia Elkann, che predicherebbe bene e razzolerebbe malissimo.

Scontro a distanza tra Meloni ed Elkann

Per tutta risposta, il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, ha accusato Giorgia Meloni di non accettare le critiche dell’informazione e di comportarsi come certi capi di governo nelle “autocrazie”. Possibile tutto questo polverone sulle privatizzazioni? Per quanto non sia in cima ai pensieri dell’elettorato, la stampa anti-governativa ritiene di poterne fare un cavallo di battaglia in vista delle elezioni europee di giugno. Il leitmotiv è già il seguente: avevano promesso “sovranismo” e, invece, svendono i gioielli di famiglia per fare cassa.

Privatizzazioni per frenare corsa del debito pubblico

Cerchiamo di capire come stanno le cose. Le privatizzazioni dovranno far introitare allo stato italiano l’1% del PIL in tre anni. Non tanto, ma servirà ad attutire l’impatto sui conti pubblici dei postumi pandemici. Il debito pubblico è cresciuto di 450 miliardi da fine 2019 e, in rapporto al PIL, segna un rialzo di circa sei punti percentuali. La linea impartita dalla premier e ribadita alla conferenza stampa di inizio gennaio si riassume con una frase: “passo indietro dello stato dove la sua presenza non serve, avanti dov’è necessaria”.

Privatizzazioni non significa di per sé né svendere, né farsi colonizzare necessariamente da appetiti stranieri.

E sul punto il centro-sinistra non ha la memoria limpida. Di svendite di asset statali ve ne furono nel nostro Paese, proprio negli anni Novanta dei governi Prodi e D’Alema. Una compagnia come Telecom fu ceduta ai privati privi di un piano industriale, che la usarono per scaricarvi i debiti e per staccarsi maxi-profitti nel giro di qualche anno prima di mollarla al suo destino.

Servono capitali stranieri, ma stabili

Dopodiché, nello specifico stiamo parlando di privatizzazioni di asset già perlopiù quotati in borsa. Nei fatti, la “svendita” vera e propria non sarebbe neppure più possibile, dato che il mercato ha fissato il prezzo. Può certamente accadere che quote di capitale finiscano in mano a società e fondi stranieri. Non è un male, anzi l’Italia ha bisogno di attirare capitali dall’estero. Ciò che non va bene, è quando questi capitali arrivino con l’unico obiettivo di spolpare realtà produttive per limitare la concorrenza internazionale verso altre realtà controllate o per fare cassa senza investire nulla e senza essere interessati alla governance.

Proprio in questi giorni è polemica sul Ddl Capitali, che cerca di porre rimedio almeno su un punto: i CDA non possono perpetuare il loro potere all’infinito tramite la nomina di sé stessi. E chi detiene azioni da più tempo, ottiene diritti di voto plurimo in assemblea. Proprio la stampa anti-governativa eccepisce che queste norme metterebbero in fuga i capitali, quand’è vero il contrario. Semmai, esse daranno fastidio a certi fondi mordi e fuggi di natura prettamente speculativa e che in più casi hanno utilizzato l’Italia quale location per scambiarsi favori con altre grandi realtà straniere.

Sulle privatizzazioni PD non può aprire bocca

C’è anche da dire che le privatizzazioni in oggetto non faranno neppure perdere il controllo allo stato, il quale rimarrà in possesso di una quota di capitale preponderante o persino assoluta.

La verità è che il tema è diventato l’ultima speranza di organi dell’informazione che puntano a disilludere l’elettorato cosiddetto “sovranista”. I giornali si sono sostituiti ai partiti, visto che il PD non osa aprire bocca su questo capitolo. Va bene che a guidarlo sia ora la liberal Elly Schlein, ma gli italiani non dimenticano che sia stato artefice delle privatizzazioni nei decenni passati, la gran parte andate a male e concausa del declino industriale italiano.

Ben più interessante è sul piano politico lo scontro indiretto tra Meloni e gli Elkann, questi ultimi a capo di Stellantis. Non è un mistero che la casa automobilistica ormai più francese che italiana reclami aiuti di stato per continuare a produrre negli stabilimenti dello Stivale, così come non è un mistero che usi i suoi giornali per fare pressione sui governi di turno per ottenere quanto desiderato. Tutto ovviamente legittimo. E nelle scorse settimane erano arrivate anche notizie il tal senso, cioè il varo di maxi-incentivi per le auto elettriche fino ad un massimo di quasi 14.000 euro. Se ne farà più nulla?

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