Nuovi minimi storici per la lira turca, scesa nelle scorse ore a un tasso di cambio di 19,60 contro il dollaro. Su base annua, la valuta emergente perde un altro quarto del suo valore. E un ennesimo segnale di allarme arriva dal Gran Bazar di Istanbul, dove gli agenti di cambio stanno vendendo dollari contro almeno 20,40 lire, cioè ad un tasso di cambio del 5% più debole. Sembra inarrestabile la caccia alle valute forti straniere da parte delle famiglie. C’è il timore crescente che vi sarà una svalutazione della lira turca subito dopo le elezioni presidenziali e politiche del 14 maggio.

Chiunque vinca, infatti, difficilmente potrà continuare a sostenere una situazione così critica.

In effetti, la banca centrale sta cercando di contenere la fuga dei capitali con misure artificiose di corto respiro, ma che accelerano la depressione delle riserve valutarie. Queste superavano gli 85 miliardi lordi a inizio anno, mentre al 7 aprile scorso risultavano scese sotto 68,50 miliardi. Per non parlare della bilancia commerciale, sempre più in passivo, malgrado il collasso valutario che si protrae da anni. Il recupero della competitività, d’altra parte, appare difficile con un’inflazione che nel mese di marzo era ancora del 50,51%.

Chi può, compra dollari ed euro per proteggere il potere di acquisto. Non importa a quale tasso di cambio. La lira turca sprofonda di mese in mese, mentre i prezzi al consumo s’impennano. Le banche non stanno mettendo a disposizione dei clienti tutta la valuta straniera richiesta. Viceversa, gli agenti di cambio nei bazar non sono tenuti a registrare i piccoli movimenti, per cui garantiscono maggiore libertà alle famiglie. E al Gran Bazar di Istanbul è anche caccia all’oro, bene rifugio per antonomasia. I numeri non mentono. Se un cittadino turco avesse acquistato un’oncia di oro dieci anni fa, avrebbe speso circa 2.560 lire. Oggi, ne avrebbe più di 38.700.

Se se le fosse tenute in tasca, quelle lire nel frattempo avrebbero perso quasi l’85% del loro valore.

Lira turca giù, sconfitta Erdogan non scontata

L’esperimento monetario del presidente Recep Tayyip Erdogan di trasformare la Turchia in una potenza esportatrice a colpi di svalutazione non solo non sta esitando gli effetti sperati, ma getta le famiglie nello sconforto. La crisi della lira turca potrebbe fargli perdere le elezioni presidenziali tra poche settimane. Lo sfidante Kemal Kiricdaroglu è dato leggermente avanti nei sondaggi. Sostenuto da un cartello composito di sei partiti, non è per nulla carismatico, ma a lui si stanno rivolgendo tanti elettori delusi e frustrati per la perdita costante e drammatica del potere di acquisto. Non è un caso che la promessa su cui batte di più in queste settimane il candidato kemalista sia di difendere il cambio e lasciare autonomia decisionale alla banca centrale.

Mentre l’inflazione galoppava fin sopra l’85%, il governatore Sahap Kavcioglu ha pensato bene di tagliare i tassi d’interesse fino all’attuale 8,50%. Non poteva fare altrimenti, dato che Erdogan ha licenziato un governatore dietro l’altro che si fosse mostrato anche solo titubante nel realizzare questa sconsiderata politica monetaria. Non è detto che la svalutazione sia un fatto obbligatorio dopo le elezioni. L’eventuale vittoria delle opposizioni potrebbe riportare un minimo di fiducia sui mercati, al punto da stabilizzare il cambio nell’attesa che il nuovo governo vari riforme macroeconomiche nella direzione auspicata e, soprattutto, che lasci alla banca centrale il potere di seguire una politica più ortodossa. Ma la sconfitta di Erdogan è tutt’altro che scontata. Da abile comunicatore, sa mobilitare il proprio elettorato. I sondaggi lasciano il tempo che trovano. L’uomo forte di Ankara ad oggi resta il “Sultano”.

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