Il tasso di cambio tra dollaro e lira turca è salito ormai in area 13,80, segnando un crollo per la valuta emergente di oltre il 45% quest’anno. Da quando la banca centrale ha iniziato a tagliare i tassi nel mese di settembre, perde il 36%. Durante la seduta di mercoledì scorso, però, essa era riuscita a recuperare fino all’8,5% in pochi minuti, un fatto già di per sé straordinario, ma che lo è ancora di più per una valuta diventata così screditata sui mercati forex.

Venerdì, qualcosa di simile, pur in misura molto minore.

In effetti, è accaduto che la banca centrale abbia venduto parte delle sue riserve valutarie per difendere il tasso di cambio. Non accadeva dal gennaio del 2014, cioè da quasi otto anni. Secondo le indiscrezioni, l’istituto ha ceduto asset per 1 miliardo di dollari nella giornata di mercoledì. La mossa segnala quanto le stesse istituzioni di Ankara siano preoccupate per la gravità del collasso della lira turca. In genere, negli ultimi anni sono intervenute a sostegno del cambio le banche statali, chiaramente su sollecitazione del governatore centrale. Ad esempio, da inizio 2018 ad oggi si calcolano in 165 miliardi di dollari le loro vendite di valuta straniera.

Lira turca su con uso riserve valutarie

Il dossier è arrivato in Parlamento nei mesi scorsi, con il presidente Erdogan per la prima volta in grave difficoltà dinnanzi alle opposizioni nel giustificare il senso di certe operazioni inutili ai fini della difesa del cambio. L’intervento di questa settimana non solo non offre alcun sollievo alla lira turca, ma anzi rischia di accentuarne la crisi di credibilità. La banca centrale al 19 novembre scorso deteneva riserve valutarie lorde per 129 miliardi di dollari. Tuttavia, 61 miliardi derivano da linee swap con le banche commerciali, mentre al netto delle riserve obbligatorie imposte ai depositi delle famiglie in valuta straniera (debiti per il sistema bancario), scenderemmo a -35 miliardi.

In sostanza, il governatore Sahap Kavcioglu ha speso dollari in prestito, con il rischio di provocare di questo passo una più grave crisi dell’intero sistema finanziario turco. La situazione è talmente drammatica, che nella stessa giornata di mercoledì il presidente Erdogan ha licenziato il suo ministro delle Finanze, critico verso il taglio dei tassi, rimpiazzandolo con un politico vicinissimo alle proprie posizioni. Ormai, il capo dello stato non ammette tentennamenti per quella che ha definito “una guerra economica d’indipendenza”. E ha avvertito che da qui alle elezioni del 2023, i tassi scenderanno “marcatamente”, facendo presente che non indietreggerà né ora e né mai. Peggio del 2018, quando la tempesta finanziaria lo costrinse momentaneamente ad accettare una vigorosa stretta monetaria. Questa volta, Erdogan va “all in” sul suo obiettivo di rilanciare l’economia a colpi di tassi bassi.

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