E’ stata una brutta sorpresa il dato di martedì sull’inflazione nell’Area Euro per il mese di maggio. Secondo l’Eurostat, è salito mediamente dell’8,1%, segnando un nuovo record nella pur breve storia dell’unione monetaria. Le attese degli analisti erano per un’accelerazione a +7,8% dal +7,4% di aprile. Anche stavolta, i prezzi al consumo sono stati trainati dalla componente energetica, che ha segnato un boom del 39,2% dal +37,5% di aprile. L’inflazione di fondo, al netto della componente energetica e quella alimentare, è salita anch’essa al 3,8% dal 3,5%.

I dati delle principali economie dell’Area Euro sono peggiorati tutti: inflazione al 7,9% in Germania, record dal 1973/1974; al 5,2% in Francia, ai massimi dal settembre 1985; al 6,9% in Italia, record dal marzo 1986. La politica monetaria della BCE non è più sostenibile. Francoforte tiene ancora i tassi d’interesse sui depositi delle banche a -0,5%, mentre continua ad acquistare titoli di stato e altri asset, iniettando ulteriore liquidità sui mercati. Insomma, il contrario di quanto servirebbe per cercare di riacciuffare la stabilità dei prezzi.

Rialzo dei tassi BCE a luglio

Nei giorni precedenti alla pubblicazione dell’ultimo dato sull’inflazione, il capo-economista dell’istituto, Philip Lane, aveva parlato di un rialzo dei tassi BCE “benchmark” nell’ordine dello 0,25%. Ma il governatore olandese Klaas Knot si è speso per una stretta monetaria più veloce. In effetti, non esiste alcuna spiegazione logica per alzare i tassi al ritmo di appena un quarto di punto percentuale a ogni board, quando l’inflazione galoppa verso la doppia cifra.

Peraltro, se è vero che il boom sia provocato dalla componente energetica, in un certo senso “transitoria”, i prezzi di generi alimentari, bevande e tabacco sono aumentati del 7,5% a maggio dal 6,3% di aprile. Dunque, l’inflazione inizia a diventare strutturale, travalicando l’ambito strettamente legato al comparto energetico. Se Lagarde non è intervenuta finora, è per due ragioni: ha voluto e dovuto tenere fede alla sua “forward guidance”, in base alla quale il rialzo dei tassi BCE avverrà solo dopo che saranno cessati gli acquisti netti di asset con il “quantitative easing”; teme di provocare una nuova crisi dei debiti sovrani nel Sud Europa.

A dire il vero, stavolta essa si concentra quasi esclusivamente in Italia, dove lo spread si è già portato sulla soglia dei 200 punti base.

Lotta all’inflazione necessaria, spread o meno

Ma che a luglio sarà avviata la stretta non esiste alcun dubbio. Semmai si dibatte sull’entità del primo rialzo dei tassi BCE dal 2011. Sebbene le “colombe” nel board capeggiate dall’Italia spingano per un aumento dello 0,25%, crescono le probabilità che Francoforte voglia almeno in parte rimediare all’estremo ritardo sulla stretta con un aumento doppio. E ciò avverrebbe quasi certamente nel caso in cui l’inflazione a giugno dovesse accelerare ulteriormente.

A favore di questa lettura vi è anche la revisione al rialzo del PIL italiano nel primo trimestre. L’ISTAT ha migliorato la lettura da -0,2% a +0,1%. Il rischio recessione per l’economia italiana si allontana e ciò contribuisce a distendere gli animi su questo fronte alla BCE. Resta l’allarme spread, ma che si potrebbe disinnescare diversamente. O con un piano apposito della stessa Francoforte, impostato su acquisti mirati e incondizionati di bond. O con un piano fiscale della Commissione europea sulla falsariga del Recovery Fund. Agire contro l’inflazione è ormai doveroso.

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