Nel mese di febbraio l’inflazione italiana non ha rialzato la testa come si aspettavano, pur di pochissimo, gli analisti. L’indice dei prezzi al consumo è cresciuto dello 0,8% su base annua e dello 0,1% su gennaio. Il primo dato è rimasto invariato, il secondo risulta in calo rispetto allo 0,3% del mese precedente. Al netto di generi alimentari ed energia, l’inflazione di fondo ha rallentato il passo dal 2,7% al 2,4% tendenziale. Quanto all’inflazione acquisita per quest’anno, è risultata dello 0,5%. Significa che, se i prezzi restassero invariati di mese in mese fino a dicembre, la crescita dell’intero 2024 sarebbe di appena mezzo punto percentuale.

Infine, l’inflazione italiana armonizzata con il resto dell’Unione Europea è stata dello 0,9%, il secondo dato più basso dell’Area Euro dopo la Lettonia (0,7%).

Italia meglio dell’Eurozona per il quinto mese di fila

Sono stati questi in estrema sintesi i dati dell’Istat sull’inflazione italiana, pubblicati nella mattinata di ieri. Nel frattempo, l’Eurostat segnalava un calo anche dell’inflazione nell’Area Euro dal 2,8% di gennaio al 2,6%. Il dato atteso era appena inferiore. Quanto all’inflazione di fondo, ulteriore rallentamento al 3,1% dal 3,3%. Si è trattato della lettura più bassa dal marzo del 2022.

Questi dati sono sostanzialmente positivi per l’Italia. Per il quinto mese consecutivo, la crescita annuale dei nostri prezzi al consumo risulta inferiore alla media dell’Area Euro. Era stato così per anni prima della crisi energetica, mentre per un anno, cioè tra l’ottobre di due anni fa e il settembre scorso, la situazione si era ribaltata. L’inflazione italiana era risultata più elevata e, al picco di fine 2022, di ben 2,5-3 punti percentuali in più.

Cresce la competitività dell’economia italiana

Quando l’inflazione italiana scende sotto i livelli dell’Area Euro, è positivo per la nostra economia. Ne guadagna in competitività, dato che siamo in un’unione monetaria e, pertanto, il riequilibrio non può avvenire tramite variazione dei tassi di cambio.

C’è da aggiungere, tuttavia, che nell’anno in cui i nostri prezzi al consumo hanno patito una crescita maggiore rispetto al resto dell’area per via della crisi energetica, non abbiamo perso competitività. I nostri prezzi crebbero in quel periodo dell’1,8% contro il +2,6% medio dell’Area Euro. Paradossalmente, ne avremmo tratto un relativo, seppur minimo, vantaggio. Stessa considerazione emerge raffrontando i prezzi attuali con quelli di fine 2021: +11,8% in Italia, +12,7% nell’Area Euro.

Negli ultimi cinque mesi, poi, è diventato più evidente. A fronte di un calo dei prezzi dello 0,14% nell’Eurozona, in Italia siamo a -1,4%. Fin qui le note positive. C’è il rovescio della medaglia. Con un’inflazione italiana così bassa, che praticamente già sta centrando il target del 2% della Banca Centrale Europea (BCE) anche con riferimento al dato di fondo, potremmo permetterci tassi di interesse più bassi. Ricordiamoci che ad oggi i tassi di riferimento sono al 4,5%. In termini reali, abbiamo tassi superiori al 3,5% contro meno del 2% della media dell’area.

Inflazione italiana bassa, ma il taglio dei tassi non arriva

Poiché la BCE deve guardare necessariamente al dato medio, finché esso non risulterà sceso credibilmente verso il target, il taglio dei tassi non ci sarà. Verosimile che sarà varato a giugno. Fosse stato solo per noi, avremmo potuto anticipare l’allentamento monetario di diversi mesi. E questa differenza temporale rischia di deprimere l’economia italiana più dello stretto necessario per disinflazionarla. In un certo senso, è già possibile che la bassa inflazione italiana sia conseguenza di tale processo. I consumi sarebbero deboli al punto da generare prezzi contenuti dopo il boom degli anni passati.

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