L’inflazione in Italia è salita al 6,7% nel mese di marzo, al 7% secondo l’indice armonizzato. Quest’ultimo è utilizzato per rendere comparabili le variazioni dei prezzi nell’Unione Europa. Ancora una volta, il boom è stato trainato dai prodotti energetici, che su base annua sono rincarati del 52,9% dal 45,9% di febbraio. L’inflazione acquisita è salita al 5,3% per il 2022. Questo sarebbe, cioè, il dato dell’intero anno in assenza di variazioni mensili dell’indice da marzo fino a dicembre.

Per l’economia italiana, una bella botta.

Quella che sta galoppando in questi mesi è la cosiddetta inflazione “cattiva”. Non che ve ne sia una buona, ma l’espressione sottintende che le cause siano indesiderabili: non già una crescita dei consumi domestici e dell’economia, bensì rincari delle materie prime. E per questo sta accadendo che gli stipendi stiano rimanendo sostanzialmente invariati, dato che le imprese non vedono aumentati i margini di profitto con l’aumento dei prezzi. Anzi, in molti casi stanno subendo una loro contrazione. Fatto sta che siamo l’economia OCSE, che in termini reali registra il peggior calo dei redditi.

Inflazione in Italia ben più alta degli aumenti di stipendio

Nel 2021, ad esempio, gli stipendi italiani crebbero solamente dello 0,6%, a fronte di un’inflazione mediamente all’1,9%. Supponendo per quest’anno un’accelerazione dei primi all’1%, con un’inflazione al 7% su una massa salariale di 700 miliardi di euro, la perdita stimabile del potere d’acquisto ammonterebbe a 30 miliardi. Parliamo di circa 1.300 euro per ciascuno di quasi 23 milioni di lavoratori occupati, sebbene gli aumenti salariali ottenuti in questi mesi siano profondamente da contratto a contratto.

Insomma, una perdita secca di 100 euro al mese, tredicesima inclusa. E poi ci sono i risparmi. La nota qui è ancora più dolente. A febbraio, sui conti correnti e deposito si trovavano 1.831 miliardi di euro. Il tasso d’interesse medio offerto dalle banche su questo denaro è stato dello 0,31%.

Con un’inflazione al 7%, sarebbe come dire che questa liquidità abbia perso quasi 123 miliardi di euro in un anno. Sommando il dato alla perdita dei salari, otteniamo che in fumo siano andati 150 miliardi di euro. La perdita media per famiglia arriva a sfiorare i 6.000 euro.

Non passerà molto tempo prima che le rivendicazioni salariali diventino più robuste. E, purtroppo, sarà come illudersi di recuperare il minore potere d’acquisto. La crescita degli stipendi non sarà compensata dalla maggiore produttività e sarà scaricata dalle imprese sui prezzi finali. A pagare saranno ancora una volta i consumatori, che con una mano otterrebbero redditi più alti, con l’altra spenderebbero di più per vivere. Lo spettro degli anni Settanta e Ottanta è sempre più vicino, a meno che la BCE non intervenga per allontanarlo con una politica monetaria che “raffreddi” le aspettative d’inflazione nell’Eurozona e spenga la speculazione sui mercati, in parte responsabile dei rincari eccessivi di molte materie prime di questi mesi.

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