Il vertice del Consiglio europeo di giovedì sera è andato come doveva andare, senza esitare alcunché di concreto, perché tante sono e rimangono le divergenze tra stati. L’Italia rivendica di aver strappato a Germania e Olanda il “Recovery Fund” e chiunque ha il diritto di credere che servirà ad arginare la crisi finanziaria e ad attutire quella economica. Ma la realtà prevarrà sul racconto nelle prossime settimane, quando sarà sempre più evidente che l’Italia sarà lasciata sola a sé stessa, semmai sostenuta col ventilatore polmonare della BCE, tramite gli acquisti massicci di BTp per contenere gli spread.

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Per il resto, il nostro Paese potrà permettersi quello che il mercato sarà disposto a offrirle. Fino ad allora, potrà spendere per sostenere l’economia al collasso, grazie al fatto che i vincoli fiscali del Patto di stabilità siano stati sospesi dalla Commissione per tutti gli stati membri. In un certo senso, pur nel mare di guai in cui si trova, il governo Conte ottiene un po’ di respiro, perché se da un lato ha contro i mercati, dall’altro potrà permettersi di alzare il deficit fino a quando questi glielo finanzieranno a tassi accettabili, tenuto conto della BCE.

Verso una legge di Stabilità difficile

Ma sbaglia di grosso chi si sta illudendo che il Patto di stabilità sia morto e che il mantenimento dell’equilibrio dei conti pubblici non sarà più un obiettivo primario da perseguire. Prima ancora che Bruxelles ripristinerà i vincoli fiscali, ci penserà il mercato a rimettere tutti in riga. E più l’uscita dalla crisi dell’Eurozona sarà veloce, più vicina la riattivazione del Patto. Peccato che la storia ci insegni che siamo generalmente i primi a cadere in crisi e gli ultimi ad uscirne.

Comunque sia, massima tolleranza per quest’anno sul deficit, perché non potrebbe essere altrimenti con un pil in ginocchio ovunque, Germania compresa. Ma per l’anno prossimo, la musica inizierà a cambiare.

A settembre, il governo dovrà mettere mano alla legge di Stabilità per il 2021. In quella sede, molto probabilmente non sarà ancora tenuto a centrare il target del deficit sotto il 3% del pil, ma dovrà segnalare l’avvio di un percorso di aggiustamento dei conti, al netto della congiuntura avversa. E se così non fosse, i mercati ci toglierebbero la fiducia, sempre che non lo avessero già fatto per allora, né si pensi che la BCE possa acquistare titoli di stato italiani a discapito di tutti gli altri in eterno. Dunque, escludendo l’ipotesi di un previo ricorso al MES, l’Italia dovrà dimostrare già di avere buona volontà. E qua inizia la fase più difficile per chiunque si troverà a gestirla.

Che sia l’attuale esecutivo o un altro di unità nazionale, magari guidato da Mario Draghi, i numeri avranno la testa dura con tutti. L’Italia partiva da un deficit fissato già superiore al 2% per quest’anno e si ritroverà con ogni probabilità a doverlo tagliare dalla doppia cifra a cui tenderà a fine 2020. Un po’ ci penserà il rimbalzo del pil, che si annuncia, però, parziale. Per il resto, a voler essere buoni e senza valutare l’eventuale estensione all’anno prossimo di misure di sostegno a favore di questa o quella categoria, ci sarebbero 50 miliardi da recuperare. Non subito, ma quella è la cifra minima da recuperare per rientrare nei parametri nel medio termine.

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Le misure impopolari possibili

E qui la storia diventa maledettamente complicata. Alzare le tasse in un paese già tartassato sarebbe economicamente suicida e politicamente non praticabile.

Tagliare la spesa pubblica improduttiva è sempre facile a dirsi, fino a quando si capisce che l’improduttività equivale a redditi e posti di lavoro, già difficili da ridurre nei momenti buoni, pensate dopo la più grave crisi dal Secondo Dopoguerra. Ma da qualche parte si dovrà iniziare e qui la politica dovrà compiere alcune scelte. Chi si assumerà la responsabilità di una riedizione di misure à la Monti e al quadrato? Ai protagonisti di allora andò piuttosto male, scavalcati da un partito del “vaffa” fino a quei tempi rimasto ai margini dell’opinione pubblica. Non proprio un esempio positivo a cui rifarsi.

Ad occhio e croce, nel mirino ci saranno certamente quota 100, già in fase di pensionamento dopo il 2021, ma anche il reddito di cittadinanza, per quanto questa seconda misura appaia più difficile da eliminare del tutto in una situazione così critica. A seguire, qualche sforbiciata alle detrazioni fiscali, che sarebbe un aumento mascherato e non dichiarato delle tasse, qualora non venisse accompagnata da un taglio delle aliquote Irpef; qualche contributo “di solidarietà” sui redditi alti (il PD l’ha già proposto) e qualche stangata sulle auto più vecchie (Euro 0, 1, 2, etc…) camuffata da lotta all’inquinamento. E ci sarà la solita lotta all’evasione fiscale, che in Italia è come il nero, va sempre di moda. Da escludersi per il momento gli aumenti dell’IVA, perché colpirebbero i consumi in piena caduta, aggravando e prolungando la crisi. Anzi, nei giorni scorsi il governo ha ipotizzato la disattivazione delle clausole di salvaguardia per il prossimo.

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La somma sarebbe molto lontana dai 50 miliardi sopra ipotizzati, ma basterebbe verosimilmente a guadagnare tempo, attirando un po’ di fiducia dei mercati e delle istituzioni europee, alleggerendo la pressione sulla BCE di quei paesi come Germania e Olanda, che non ne vogliono saperne di assistere i partner più fiscalmente lassisti.

Insomma, si ricaverà probabilmente un punto di pil, si cercherà di tendere a un deficit in area 5-6% e nel frattempo lo spread verrebbe parzialmente silenziato da Francoforte, consentendoci di rifinanziarci a rendimenti non esplosivi. Ma siamo sicuri che questo quadro politico possa sostenere un’evoluzione di questo tipo, che si presenta impopolare e drammatica per milioni di italiani? E tutto questo, al netto di un’eventuale nuova ondata di contagi e annessi “lockdown” in autunno.

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