Chiedere che ore sono è forse la domanda più semplice che si possa rivolgere a un individuo. Non è così in Libano da ieri. Se vi trovate nel paese dei cedri sprovvisti momentaneamente di orologio e telefonino, potreste non riuscire a capire l’orario. Può capitare, infatti, che un signore vi risponda che siano le 7 di sera e un altro che siano le 8. Il guaio è che avrebbero ragioni entrambi. Il primo sarà verosimilmente un mussulmano, il secondo un cristiano. Che storia è questa? Un’assurdità delle tante che arriva da questo paese un tempo considerato “la Svizzera del Mediterraneo”.

Domenica, come sappiamo, gli orologi sono stati spostati di un’ora avanti nei paesi che adottano l’ora legale per ridurre i consumi di energia. In Libano, all’ultimo minuto il premier Najib Mikati ha disposto di prolungare l’ora solare fino al 20 aprile, in modo da consentire ai fedeli mussulmani di praticare il Ramadan senza variazioni. Durante questo periodo, devono osservare il digiuno tra l’alba e il tramonto.

Ora legale caso religioso

Tuttavia, alla decisione non si sono adeguati i cristiani. La Chiesa Maronita ha fatto sapere di adottare puntualmente l’ora legale, così faranno le scuole e le istituzioni cristiane. Risultato? In base alla religione di appartenenza ci saranno orari diversi nello stesso stato. Confusione su confusione in un paese dove già ne regna fin troppa. A che ora dovranno entrare i ragazzi a scuola? E quando prendere l’aereo, andare al lavoro o guardare un programma alla TV?

Se non fosse una situazione tragica, ci sarebbe da ridere. Ma l’economia del Libano è al collasso più totale da anni. Secondo la Banca Mondiale, la sua crisi risulta tra le tre peggiori della storia mondiale. Il PIL ammontava a 55 miliardi di dollari nel 2018, mentre nel 2021 risultava crollato a 23 miliardi. L’anno scorso dovrebbe essere risalito sopra 30 miliardi, avendo perso comunque ancora il 45% rispetto a quattro anni prima.

L’inflazione a febbraio è tornata ad esplodere al 189%. Significa che i prezzi al consumo quasi sono triplicati in un anno (+1.280% in tre anni), perlopiù a causa del tracollo della lira libanese. Il suo cambio contro il dollaro al mercato nero è esploso dai 42.600 di inizio anno ai 107.500 di oggi. E il 21 marzo scorso era arrivato a 141.000.

Economia Libano senza aiuti FMI

La lira ha perso solamente quest’anno il 60% del suo valore. E pensate che dopo la svalutazione ufficiale del 90%, un dollaro per la banca centrale si acquisterebbe per 15.000 lire. Un tasso irrealistico e al quale non si trova valuta straniera. Esistono ben sette tassi di cambio, ma da ieri anche due fusi orari. Insomma, siamo al caos più completo. In tutto questo marasma, la politica sa fare l’unica cosa che le riesce alla perfezione: litigare e ignorare la realtà. Pensate che quasi un anno fa il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha messo a disposizione dell’economia del Libano 3 miliardi di dollari in cambio di riforme. Ma dall’autunno scorso il Parlamento non riesce neppure ad eleggere il nuovo capo dello stato. La Costituzione non prevede la proroga dei poteri per il presidente uscente, per cui il paese è senza una guida e con un governo nei fatti delegittimato.

A questo punto, se proprio dovessimo appigliarci a una qualche minima speranza, lo sguardo andrebbe alle relazioni tra Arabia Saudita e Iran. Il Libano è considerato una sorta di protettorato di Teheran. La Repubblica Islamica interferisce con la politica locale attraverso gli Hezbollah, una formazione paramilitare di sostegno alle forze politiche filo-sciite. Lo scontro con i mussulmani sunniti che fanno riferimento a Riad paralizza da troppo tempo Beirut.

In queste settimane, a sorpresa sauditi e iraniani stanno riallacciando le relazioni diplomatiche e il presidente Ebrahim Raisi è stato invitato nel regno in visita ufficiale da Re Salman.

La normalizzazione dei rapporti tra le due potenze del mondo mussulmano avrebbe riflessi positivi sul Libano, avvicinando forse le parti a un accordo per gestire la crisi insieme alla minoranza cristiana e per ottenere finalmente gli aiuti dell’FMI. E chissà se, dietro precise garanzie da Teheran, la monarchia saudita non apra i cordoni della borsa per aiutare uno stato a maggioranza islamica in estrema difficoltà.

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