Qualcuno lo definisce un probabile terremoto finanziario in vista, di certo c’è che vi saranno cambiamenti per l’Euribor, il tasso di interesse a breve termine a cui vengono agganciati i mutui a tasso variabile, ma anche gran parte dei prestiti alle imprese e dei bond emessi con cedola variabile. Un mercato del credito, quello su cui si interverrà, che in Europa vale 180.000 miliardi di euro (derivati inclusi), di cui un migliaio relativo ai mutui. (Leggi anche: Mutui a tasso variabile più convenienti con il rialzo dei rendimenti)

L’Euribor è l’acronimo per “Euro Inter Bank Offered Interest” e segnala l’andamento dei tassi applicati sui finanziamenti interbancari tra le prime 20 banche dell’Eurozona, con scadenze che vanno da una settimana e fino a un massimo di 12 mesi.

A questi tassi sono agganciati i mutui e altri prestiti erogati a interessi variabili. In genere, per mutui con scadenze medio-brevi si fa riferimento all’Euribor a 1 o 3 mesi, per quelli più lunghi al tasso a 6 mesi o più.

Riforma Euribor in arrivo

Che cosa sta succedendo? Lo Euro Money Market Institute, che rileva le variazioni quotidiane dei suddetti tassi, sta varando una riforma entro l’anno, con l’intento di farla entrare in vigore entro la fine del 2019, dopo un biennio di sperimentazione e di consultazione, in modo da assegnare alle banche il tempo necessario per adeguarsi. E in cosa consiste la riforma?

L’EMMI vorrebbe centrare tre obiettivi, giungendo a un tasso: affidabile; più volatile di quello odierno, ma non troppo; che rispecchi maggiormente le condizioni del mercato. Ottenere queste tre caratteristiche sembra facile, ma non lo è. L’intento dell’istituto sarebbe apparentemente di rendere più trasparenti i meccanismi di formazione dei tassi sul mercato, anche perché di scandali negli anni passati ve ne sono stati, come quelli proprio sull’Euribor, il Libor o sui tassi di cambio, quando si è scoperto che le banche spesso operavano in combutta tra di loro per giungere a determinati prezzi e in certi orari, al fine di manovrare le transazioni quotidiane in loro favore.

(Leggi anche: Scandalo Euribor, procura Trani indaga per truffa aggravata)

Timori per famiglie e imprese

Che una ventina di banche, per quanto importanti, decida ancora oggi quali siano i tassi di riferimento per le brevi scadenze appare anacronistico e si presta a dubbi e sospetti sulla loro effettiva adesione alla realtà, così come sulla trasparenza dei comportamenti. Se analizziamo lo storico dell’Euribor negli ultimi mesi, ad esempio, scopriamo che i tassi dagli 1 ai 12 mesi sono rimasti praticamente invariati lungo tutto il 2017, nonostante per le scadenze medie e lunghe si siano registrati anche grossi scossoni. Un esempio? L’Euribor a 1 mese non si è mosso dal -0,37% in cui si trova da 13 mesi, mentre l’Eurirs a 10 anni è passato quest’anno dallo 0,68% allo 0,82%.

Ora, vero è che le dinamiche che smuovono i tassi in questa fase hanno a che vedere con le aspettative d’inflazione nell’Eurozona e con le mosse preventivate della BCE, con conseguenze ben più marcate sulle scadenze a medio-lungo termine che non nel breve. Tuttavia, un Euribor così immobile fa sorgere il sospetto che probabilmente il tasso non rispecchierebbe adeguatamente e in maniera tempestiva le variazioni in corso sui mercati.

Serve, dunque, una maggiore volatilità al posto della tendenziale staticità e, tuttavia, esistono vari problemi nel perseguire tale obiettivo, perché interessi di riferimento più mutevoli nel tempo implicano maggiori incertezze per famiglie e imprese indebitate a tasso variabile. Le ripercussioni sulle rate potrebbero essere marcate, anche se non è possibile a priori stabilire in quale direzione.

Tempi “sospetti” per la riforma

Tornando alla riforma, essa punterebbe a spostare la formazione dai suddetti 20 istituti ai dati provenienti dalle transazioni sul mercato, almeno quelle che presentino caratteristiche appropriate, verosimilmente non soggette a eccessiva volatilità.

Per mettere insieme opposte esigenze, l’EMMI potrebbe optare per una soluzione intermedia: utilizzo dei dati sulle transazioni di mercato e ricorso ad altri alternativi (quelli attuali?) per il caso in cui i primi non fossero disponibili.

E’ evidente come la riforma sia destando allarme per le ripercussioni potenzialmente anche violente che potrebbe scatenare. Va detto, comunque, che il biennio tra fine 2017 e fine 2019 servirà proprio a valutarne l’impatto giorno per giorno e, in ogni caso, appare inverosimile che le autorità preposte concedano il via libera a cambiamenti destabilizzanti.

D’altra parte, suona un po’ curioso che i propositi di riforma siano arrivati proprio in coincidenza con una fase dei tassi ai minimi storici sulle brevi scadenze. Che vi siano pressioni da parte del sistema bancario per consentire agli istituti di alzare le rate di mutui e prestiti, essendo queste di fatto ferme da troppo tempo a livelli bassi? Tutto può essere e per questo serve essere vigili. La necessità della riforma resta valida per le ragioni di trasparenza e di rispondenza al mercato di cui sopra. I tempi scelti destano qualche dubbio e in sé non appaiono i migliori possibili, tenendo conto che nei prossimi mesi il mercato monetario europeo sarà attraversato da possibili tensioni per il graduale taglio degli stimoli da parte della BCE (“tapering”). A quel punto, la riforma rischia di esacerbare la volatilità sui tassi, accrescendo le incertezze tra i clienti delle banche. (Leggi anche: Previsioni Pimco: tassi bassi per decenni)