L’economia del Venezuela crescerà quest’anno del 20%. Lo prevedono gli analisti di Credit Suisse, che alzano le stime dal precedente +4,5%. E non si tratta di un “errore di battitura”, spiegano, con riferimento a quello che sembra a tutti gli effetti essere il tasso di crescita più alto nel mondo di questi anni. La previsione deriva dall’atteso aumento delle estrazioni di petrolio di oltre il 20%. A febbraio, la produzione era salita a 680.000 barili al giorno, ben sopra i minimi da 80 anni a questa parte toccati nella seconda metà del 2020, quando le estrazioni giornaliere arrivarono a scendere sotto i 500.000 barili.

Il toccasana per l’economia del Venezuela arriverebbe solamente con l’allentamento delle sanzioni americane. Un team in rappresentanza della Casa Bianca è volato fino a Caracas a marzo per incontrare il governo di Nicolas Maduro con cui discutere su questa ipotesi. All’America serve rimpiazzare il petrolio russo e per farlo sta adocchiando il paese con le più grandi riserve di greggio al mondo, ma sotto embargo da quattro anni per la violenta repressione del regime “chavista” ai danni degli oppositori politici e della stessa popolazione.

Iperinflazione, addio. Più pragmatismo per Maduro

L’iperinflazione ha devastato l’economia del Venezuela tra il 2017 e il 2019, in particolare. Vagonate di banconote si sono rese necessarie anche solo per pagare un caffè al bar. Tuttavia, l’indice dei prezzi al consumo a marzo saliva su base mensile dell’1,4%, giù dal 2,9% di febbraio e per la settima volta consecutiva sotto il 10%. Resta il fatto che l’inflazione annua abbia sfiorato il 285%, ma sembra niente in un paese dove nel 2018 i prezzi crebbero del 130.000%, nel 2019 del 9.584% e nel 2020 del 2.691%.

Ma negli ultimissimi anni, Maduro ha adottato un approccio meno ideologico e più pragmatico in tema di politica economica. Ha soppresso i controlli sui prezzi e sulle valute straniere, mentre ha ridotto l’offerta di moneta alzando i tassi e il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche.

Nel frattempo, la banca centrale ha iniziato ad offrire più dollari al mercato. Lo scorso anno, ne ha venduti per 1,5 miliardi, quest’anno si parla del doppio. Queste misure hanno gradualmente stabilizzato la crescita dei prezzi e costituito quelle condizioni minime per tornare a produrre, importare e coltivare.

Economia del Venezuela fondata sul petrolio

Ma l’economia del Venezuela è essenzialmente petrolio. Il problema, anche nel caso in cui l’embargo fosse eliminato del tutto, risiede nell’assenza di investimenti negli ultimi decenni per tenere attivi i pozzi e scavarne di nuovi. Per questo si renderebbero eventualmente necessarie partnership con compagnie straniere, tra cui ENI. Sta di fatto che il Venezuela possiede oltre 300 miliardi di barili di petrolio nel sottosuolo, a fronte di estrazioni insignificanti. Ai ritmi di febbraio, le riserve si esaurirebbero in più di 1.200 anni. A titolo di confronto, l’Arabia Saudita estrae ogni anno circa l’1,4% delle proprie riserve, esaurendole così in poco più di una settantina di anni.

Con le quotazioni del petrolio a 100 dollari, per l’economia del Venezuela rinunciare ad esportare barili implica il sostenimento di un enorme costo opportunità. Pensate che solamente 1 milione di barili al giorno in più estratti equivarrebbe attualmente ad aumentare il PIL venezuelano di oltre l’80%. Peraltro, solamente il ritorno sui mercati internazionali consentirebbe a Caracas di stabilizzare il tasso di cambio, dato che il greggio incide per il 98% delle esportazioni e, quindi, nei fatti è l’unica fonte di accesso ai dollari.

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