Ieri, le notizie attese sul fronte macroeconomico erano due e sono arrivate a distanza di un quarto d’ora l’una dall’altra. Anzitutto, l’esito scontato della riunione alla Banca Centrale Europea sui tassi di interesse. Come da attese, il board li ha mantenuti invariati, sostenendo che l’inflazione nell’Eurozona sarebbe in calo e gli effetti della politica monetaria sin qui adottata si vedranno ulteriormente nei prossimi mesi. Per quanto un taglio dei tassi non sia immediato, la stretta si è conclusa senza ombra di dubbio.

E’ stata la terza volta consecutiva che il costo del denaro è stato tenuto fermo. Dopodiché, era interessante verificare l’andamento dell’economia americana nell’ultimo trimestre dello scorso anno. Le stime preliminari hanno indicato una crescita annuale del 3,3%, ben superiore al 2% atteso.

Consumi famiglie resilienti all’inflazione USA

Nell’intero 2023, se questa lettura fosse confermata, il PIL USA sarebbe salito del 2,5%, in accelerazione dall’1,9% dello scorso anno. A trainarlo sorprendentemente sono ancora una volta i consumi privati, saliti nel trimestre del 2,8%. E lo stupore deriva dal fatto che l’inflazione negli Stati Uniti resti elevata, al 3,4% a dicembre. Nel periodo ottobre-dicembre, l’indice per le spese personali ha registrato un +2,7%. Tuttavia, le famiglie spendono come se il carovita non esistesse. E sappiamo che il popolo americano non è tipicamente risparmiatore. A quali risorse attinge?

Boom del debito USA con la pandemia

La risposta non può che arrivare dalla mano visibile dello stato: +3,7% la spesa di stati e amministrazioni locali, +2,5% del governo federale nell’ultimo trimestre. Nell’intero anno, sappiamo che il deficit fiscale è stato quasi di 1.700 miliardi di dollari, qualcosa come il 6,3% stimato del PIL. In pandemia, il debito federale è salito di oltre 11.000 miliardi. Ciò spiega la reazione molto migliore dell’economia americana, che rispetto ai livelli del 2019 risulta avere chiuso il 2023 a +8%. Nello stesso periodo, le dimensioni dell’Eurozona sono cresciute solo del 4%, la metà.

In pratica, l’eccesso di spesa alimenta gli aumenti salariali anche oltre l’inflazione e ad oggi contribuisce a garantire miglioramenti reali alle condizioni di vita dei lavoratori.

L’economia americana resta un’eccezione. Mentre l’Europa sembra dirigersi verso la recessione e la Cina si è fermata, qui il PIL continua a salire senza affanno. E se una delle principali direttrici della sua crescita è la spesa pubblica, non possiamo immaginare che l’amministrazione Biden si contenga in un’annata elettorale. D’altra parte, ce ne sarebbe per rinviare il taglio dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve. Invece, il mercato continua a scontare con probabilità del 50% che un primo allentamento monetario avvenga già a marzo e, in tutto, sconta 5-6 tagli da 25 punti base ciascuno entro dicembre.

La forza dell’economia americana limita la BCE sui tassi

Può sembrare un paradosso, ma forse non lo è. I mercati cercano di capire che tipo di aria fiuti e si rendono conto che Jerome Powell subirà verosimilmente pressioni politiche per ridurre il costo del denaro. Ad ogni modo, questi numeri non lasciano tranquilla la BCE. Se la Fed non allenta, non può gettare il cuore oltre l’ostacolo e incamminarsi da sola per la strada dei tagli. Il rischio è di commettere lo stesso errore di due anni fa, quando decise con un notevole ritardo di iniziare a lottare contro l’inflazione. Adesso, canterebbe vittoria troppo presto, specie alla luce di quanto accade nel Medio Oriente.

Sebbene il cambio euro-dollaro non sia formalmente un obiettivo della politica monetaria, è il segreto di pulcinella che la BCE lo monitori con attenzione per capire l’impatto delle proprie mosse o anche solo degli annunci su di esso e, di riflesso, sull’inflazione e l’economia nell’area.

Dopo avere superato quota 1,10 a dicembre, da settimane vi è tornato sotto. Una Francoforte percepita più “dovish” di Atlanta finirebbe con il deprimerlo ulteriormente, aumentando le pressioni rialziste sui prezzi alle importazioni. Ancora una volta non sarà Christine Lagarde a battere i tempi della svolta, bensì il suo collega “yankee”.

[email protected]