Due dichiarazioni in sette giorni, una a casa e resa durante un’intervista rilasciata per la rete televisiva France 24, una seconda a Davos (Svizzera) per il World Economic Forum. Christine Lagarde ha in entrambi i casi attaccato a testa bassa Donald Trump, che oltre essere l’ex presidente degli Stati Uniti, ha ottime probabilità di vincere la nomination del Partito Repubblicano in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Il governatore della Banca Centrale Europea (BCE) ha definito una “minaccia” l’eventuale vittoria del tycoon per un secondo mandato, alla luce delle sue politiche durante il primo mandato tra il 2017 e il 2021 su Nato, lotta ai cambiamenti climatici e dazi.

Sull’argomento non si è risparmiata neppure nel corso di un’intervista per Bloomberg TV dalla Svizzera. Alla domanda per un commento su Trump, ha chiesto prima una tazza di caffè, volendo sbeffeggiare il candidato repubblicano. Dopodiché ha sostenuto che la migliore difesa è l’attacco (in che senso?) e ha riproposto la necessità di tendere ad una maggiore integrazione del mercato dei capitali europeo, attendendo sul tema il rapporto commissionato all’ex premier italiano Enrico Letta.

Attacchi a Trump senza precedenti per un banchiere centrale

Le parole di Lagarde sono state del tutto irrituali per un banchiere centrale, anche perché hanno riguardato perlopiù temi che non rientrano nell’ambito di azione della politica monetaria. Jerome Powell e chi lo ha preceduto nei decenni scorsi non hanno mai rilasciato dichiarazioni a proposito della politica del governo degli Stati Uniti e, ancora meno, di un governo straniero. Alle domande loro poste, hanno sempre risposto sfuggendovi. E non perché non avessero niente da dire, ma molto più concretamente per salvaguardare l’indipendenza monetaria della Federal Reserve dalla sfera politica, nazionale e straniera.

Neppure i predecessori di Lagarde ebbero mai ad interferire così chiaramente nelle vicende politiche dei paesi dell’euro o esterni all’unione monetaria.

Mario Draghi fu accusato di politicizzare la politica monetaria quando chiuse i rubinetti della liquidità in seguito all’affermazione elettorale di Alexis Tsipras in Grecia. Ma da detto che le forme furono rispettate, nel senso che l’italiano non commentò l’esito di quelle elezioni e né espresse successivamente giudizi sulle personalità al governo o dell’opposizione ad Atene. Si limitò ad annunciare misure a tutela della BCE contro il rischio di Grexit, opinabile che poté apparire al tempo tale reazione.

Minacciata l’indipendenza monetaria della BCE

Le parole sprezzanti di Lagarde non fanno il bene della BCE, perché sbriciolano quell’aura di indipendenza che una banca centrale deve ritagliarsi anche sul piano dell’immagine rispetto alla sfera politica. In questi anni, è accaduto che diversi governi, Italia in testa con l’attuale a guida Giorgia Meloni, abbiano commentato negativamente le misure adottate da Francoforte per contrastare l’inflazione. Ancora oggi, vari ministri reclamano ufficialmente il taglio dei tassi di interesse il prima possibile, da ultimo Giancarlo Giorgetti all’Economia.

Anche questa possiamo considerarla un’interferenza in un ambito di azione non spettante ai governi. E’ accaduto anche negli Stati Uniti con Trump alla Casa Bianca che Powell abbia subito critiche velenose per non avere tagliato i tassi. Lo avrebbe fatto a distanza di poco tempo dal tweet presidenziale. Ma l’inverso è un caso forse più unico che raro. Un banchiere centrale non può azzardarsi di entrare nel dibattito politico, altrimenti rischia di perdere la fiducia del mercato riguardo alla sua indipendenza di giudizio e all’operato. E senza fiducia non esiste credibilità e senza credibilità l’efficacia delle misure monetarie viene meno.

Critiche a Lagarde anche sui tassi

Tra l’altro, se Trump rivincesse le elezioni, la BCE verrebbe attenzionata dai mercati per capire quale sarebbe la sua risposta ad una paventata minaccia.

Insomma, Lagarde è sempre stata irrituale, tende a farsi sfuggire qualche parola in più, quando la regola aurea per un governatore centrale sarebbe quella del “less is more”. Ma mai era arrivata a tanto. E le critiche al suo modus operandi si levano anche dall’interno dell’istituto. Venerdì scorso, l’italiano Fabio Panetta ha dichiarato che sarebbe “inopportuno fare previsioni sui tassi”. A chi si rivolgeva? Proprio a Madame Lagarde, che si è arrischiata ad annunciare che questi scenderanno “in estate”.

Non si era detto che la BCE rimane “data dependent”, cioè che basi le sue decisioni volta per volta sui dati macroeconomici a disposizione? In questo modo, fa intendere che sia una trovata e che decida in base a pre-giudizi. Questo disorienta il mercato, che si ritrova sprovvisto di una bussola affidabile. Un gran pasticcio, l’ennesimo per colei che dovrebbe sovraintendere alla stabilità dei prezzi e che in appena 51 mesi di mandato si è resa responsabile di numerose gaffe, alcune dalle conseguenze drammatiche. Quel “non siamo qui a chiudere gli spread” del 12 marzo 2020 costò alle borse il 17% del loro valore in una sola seduta. Era e rimane ad oggi un record negativo. Lagarde continua a fare danni, a fare confusione tra il suo ex ruolo politico e l’attuale tecnico. E questo è un grosso problema per tutti, “falchi” e “colombe”.

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