L’Italia guida una infausta classifica nell’Unione Europea, quella dei NEET, i giovani di età compresa tra 20 e 34 anni senza lavoro e che non studiano, né frequentano corsi di formazione o tirocini. Nel 2020, erano il 29,4% contro una media europea del 17,6%. Tra le donne, la percentuale esplode al 35%, tra gli uomini supera il 23%.

I NEET sono un’emergenza nazionale. Si tratta di forze fresche, teoricamente all’apice della loro produttività, ma che non risultano impiegate nel sistema produttivo. Uno spreco di risorse, che funge da freno alla crescita del PIL e che aggrava il disagio sociale.

Queste cifre da sole non rendono l’idea della gravità della crisi del lavoro in Italia. Il tasso di occupazione nel nostro Paese oscilla tra il 58% e il 59% contro una media europea del 72-73% tra i 15 e i 64 anni. Significa che per arrivare al dato UE, dovremmo creare altri 5 milioni di posti di lavoro.

L’occupazione in Olanda supera il 79%, in Germania è al 75%. Nel Sud Italia sprofonda in molti casi al 40%, come in Sicilia. Per capire come sia possibile un tale divario, bisogna guardare ad altre cifre: nel 2020, solo il 62,9% della popolazione italiana tra i 20 e i 64 anni aveva il diploma. Il dato medio UE era del 79%. E solo il 20,1% possedeva la laurea contro il 32,8%. In buona sostanza, siamo un popolo poco istruito. Quel che è peggio, stiamo cercando di reagire alla bassa natalità con l’importazione di immigrati ancora meno istruiti di noi. Se nel 2008, il tasso d’istruzione tra gli stranieri residenti nel nostro Paese era sostanzialmente simile a quello vigente tra gli italiani, nel 2020 risultava assai più basso: solo il 46,7% aveva un diploma e solo l’11,5% la laurea.

Lavoro, immigrati e scuola: cosa non va

Questo significa che nell’ultimo decennio pre-pandemia abbiamo realizzato una politica dell’immigrazione scriteriata, tesa a rimpolpare la manodopera non qualificata, ma che rischia di impattare molto negativamente sulle prospettive future di crescita.

La classe politica ha fatto anche di peggio con gli italiani. Anziché offrire loro condizioni sufficienti per entrare nel mondo del lavoro, ha pensato bene di risolvere il fastidio di una domanda crescente di opportunità occupazionali con il reddito di cittadinanza. Risultato: non abbiamo lavoro come prima e, anzi, molti giovani neppure lo cercano o si rifiutano di accettare offerte anche di breve periodo per sbarcare il lunario.

Che la politica italiana se ne freghi dell’istruzione lo dimostrano lo stato in cui versa l’edilizia scolastica nella gran parte dei casi, nonché la bassa spesa dedicata a questa voce del bilancio. Tutte le riforme che si sono succedute negli ultimi decenni hanno avuto come principio di base non il rafforzamento della scuola, bensì la sua banalizzazione e i tagli ai costi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. I giovani italiani escono impreparati dalle scuole secondarie e dalle università e, soprattutto, spesso neppure vi entrano o, qualora s’iscrivano, non completano gli studi. Il circolo vizioso è servito: bassa scolarizzazione genera scarsa produttività del lavoro, la crescita dei redditi e dell’economia è stagnante e le famiglie non mandano i figli a scuola perché non vi scorgono più alcun ascensore sociale, oppure non possono permetterselo.

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