Mentre il Parlamento offre di sé il peggiore spettacolo possibile sul reddito di cittadinanza, annunciando una cosa e facendone un’altra – ogni riferimento ai navigator è casuale – arrivano i giudici a dare manforte ai percettori del sussidio con una sentenza destinata forse a fare scuola. La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta di un giovane laureato in informatica, il quale chiedeva 250 euro al padre e 400 euro alla madre a titolo di alimenti dopo essere rimasto senza lavoro. Aveva respinto l’offerta di 400 euro al mese più alloggio, in quanto avrebbe nel caso dovuto rinunciare agli arretrati e alla certezza dei tempi di erogazione.

Il giudice ha eccepito che il giovane, anche sulla base di testimonianze, avrebbe rinunciato ad alcune occasioni di lavoro. E ha aggiunto che avrebbe dovuto, anzitutto, verificare l’accesso a possibili forme di sostegno in caso di bisogno, facendo esplicitamente riferimento al “reddito di cittadinanza di cui al Dl 4/2019, convertito dalla legge n.26/2019”.

In altre parole, i giudici hanno fatto contenti tanti papà e mamma, ad oggi costretti per legge a mantenere figli un po’ cresciuti e poco avvezzi al lavoro. Tuttavia, hanno scaricato il costo di tale mantenimento sullo stato, praticamente ribaltando il principio di sussidiarietà, secondo il quale la sfera pubblica dovrebbe provvedere in ultima istanza a soddisfare un bisogno. Questo andrebbe per prima cosa soddisfatto all’interno della sfera familiare e privata.

Reddito di cittadinanza come diritto

I percettori del reddito di cittadinanza hanno segnato un punto a loro favore. Attenzione, formalmente i giudici “ermellini” non hanno sentenziato che il sussidio sia cosa buona e giusta o un diritto inalienabile del cittadino. Ad ogni modo, lo hanno individuato in maniera ufficiale quale strumento di contrasto allo stato di bisogno. Tutto bello, se non fosse che ai ragazzi italiani allergici all’autosostentamento sia stata indicata una strada preferenziale da percorrere prima di fare richiesta degli alimenti a mamma e papà.

E’ come se anche il potere giudiziario fosse permeato oramai dalla cultura alla base del reddito di cittadinanza, che vede il sussidio e non il lavoro come strumento principale di lotta alla povertà.

E tutto questo in un Paese, dove il tasso di occupazione risulta tra i più bassi del mondo occidentale e in cui centinaia di migliaia di studenti ogni anno si parcheggiano all’università per sfuggire alla realtà. D’altro canto, il reddito di cittadinanza è diventato l’alibi perfetto per una politica inconcludente come quella italiana. Anziché rispondere alla domanda di lavoro che si leva dal Paese reale, essa offre il contentino di un corrispettivo in denaro sufficiente alla sopravvivenza. Il popolo ha fame? Dategli le brioches. Non si sa se la povera Maria Antonietta pronunciò mai davvero questa frase, ma sappiamo che il mito contribuì a farle perdere la testa. In Italia, abbiamo la certezza che i politici siano contenti di placare i bisogni primari di milioni di cittadini per sfuggire alla ghigliottina elettorale.

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