Il Mannheim Used Vehicle Value Index è un indicatore a cui gli analisti economici guardano con attenzione negli USA per monitorare l’andamento dell’inflazione. Esso capta i prezzi delle auto usate, un bene sempre più costoso negli ultimi mesi. Al 10 ottobre scorso, il rialzo su base annua è stato di oltre il 38% al massimo storico di 223,7 punti. L’anno precedente, l’indice aveva registrato una crescita del 15,4%, cioè più che dimezzata. E nello stesso periodo del 2019, prima della pandemia, la variazione era stata nulla.

Perché i prezzi delle auto usate dovrebbero assumere un qualche significato particolare? Essi possono considerarsi un proxy dell’inflazione, anche perché in questa fase stanno risentendo proprio dei colli di bottiglia nei processi produttivi, nonché particolarmente della carenza di chip. Le case automobilistiche di tutto il mondo non riescono ad entrare in possesso di tutti i chip necessari per produrre nuovi veicoli, con la conseguenza che quest’anno il loro fatturato è atteso contrarsi di oltre 200 miliardi di dollari.

Essendoci minore offerta di auto nuove, il mercato si riversa sulle auto usate, i cui prezzi stanno esplodendo. Questo dato contribuisce ad innalzare i tassi d’inflazione ovunque nel mondo. E Confcommercio ha appena lanciato un allarme proprio sui rischi che avrebbero rincari eccessivi sull’economia. Con un’inflazione al 3%, i consumi degli italiani a Natale si contrarrebbero di 2,7 miliardi, ma con un’impennata al 4%, tutt’altro che improbabile (4,1% l’inflazione nell’Eurozona a ottobre contro il 2,9% dell’Italia), il calo è stimato in 5,3 miliardi.

Consumi a Natale in calo con l’inflazione

Cosa succede? Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, la spiega così: salendo l’inflazione, il potere di acquisto delle famiglie si riduce. Oltretutto, rincarando beni e servizi di prima necessità come generi alimentari, bollette e carburante, la quota di spesa destinata alle spese obbligate diventa più costosa e sottrae reddito alle altre voci.

Ed ecco spiegato in poche parole perché il Natale quest’anno, anziché contribuire al rilancio dei consumi, rischi di segnare un’inversione di tendenza. Pensate solamente che ridurre gli acquisti di abbigliamento avrebbe effetti devastanti per l’intero anno commerciale, incidendo il periodo natalizio per circa un quarto dell’intera spesa.

Le banche centrali cercano di rassicurare circa il fatto che l’alta inflazione di questa fase sia “transitoria” e destinata a rallentare già nei primi mesi del prossimo anno. Ma a parte che la bassa offerta di materie prime potrebbe perdurare, tenendo alte le quotazioni ancora a lungo, una volta che le aspettative d’inflazione si “surriscaldano”, riabbassarle non sarà facile. E l’abbondante liquidità sui mercati, finanziari e reali, rema contro la stabilizzazione dei prezzi. Fino alla pandemia, tassi a zero e acquisti di bond finirono per fare esplodere solamente i prezzi degli asset finanziari. Adesso che anche le politiche fiscali sono diventate ultra-espansive per reagire al Covid, lo stesso fenomeno sta riguardando beni e servizi, con la conseguenza che i rincari iniziano a pesare sulle tasche dei consumatori.

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