Come è cambiato il mercato del lavoro negli ultimi 10 anni? Contratti a termine raddoppiati, disoccupazioni, gap di genere, stipendi in calo sembrano tutte facce della stessa medaglia.

Aumentati contratti a termine e Neet

In base ai dati Istat, poi ripresi da Il Sole 24 ore nella sua Infodata, emerge che oltre all’aumento dei contratti a termine, sono cresciuti i giovani inattivi mentre è migliorato il tasso di occupazione femminile di 5 punti. La crescita occupazionale ha subito un primo stop nel 2008 con l’arrivo della crisi economica seguito da un altro tra il 2012 e il 2013.

Dal 2014 è iniziata una tendenza al rialzo con una percentuale del 59% di italiani tra 15 e 64 anni occupati. Fino al 2008 l’occupazione maschile segnava un 70%, scesa al 65% tra il 2013 e il 2015 al 68% di oggi. Quello femminile si attesta oggi al 50%, un numero molto più basso rispetto al tasso maschile che fa ancora comprendere come la differenza di genere abbia un peso non indifferente nel mercato del lavoro.

Leggi anche: Italiani sempre più vecchi: nel 2050 meno giovani, immigrati e posti di lavoro vacanti, come cambierà l’Italia

I dati sconfortanti riguardano i giovani tra i 15 e 24 anni, molti dei quali inattivi. Un numero importante di giovani compresi in questa fascia d’età sono impegnati a conseguire un diploma o una laurea, in ogni caso nel 2004 la fetta di inattivi era pari al 63,57% mentre nel 2018 il tasso si è alzato al 74,65%. Molti di questi giovani sono i cosiddetti Neet, non studiano e non lavorano per mancanza di opportunità o per altri motivi che sono ancora complicati da indagare.

Boom di precari e lavoratori indipendenti

Sono cambiati anche i contratti con un leggero incremento di quelli a tempo indeterminato; nel 2004 erano 14 milioni, nel 2008 15 milioni prima della crisi. Crescita anomala per i contratti a termine, che sono cresciuti da 1,8 milioni del 2004 a 3,2 milioni di oggi.

Sono calati, invece, i lavoratori autonomi da 6,2 a 5,3 milioni.

Un’altra indagine riportata da Repubblica, mette invece in evidenza il cambiamento dei lavoratori indipendenti. Prendendo come riferimento i dati della Rilevazione sulle forze di Lavoro raccolti nel secondo trimestre del 2017 dall’Istat, emerge che i lavoratori indipendenti sono quasi 5,4 milioni in Italia, il 23,2% degli occupati. Un numero superiore alla media europea che segna un 15,7%. Anche in questo caso, però, i dati confermano la riduzione dei lavoratori indipendenti del -10,7% rispetto al 2008. L’Istat considera quei lavoratori autonomi con dipendenti, quindi datori di lavoro (1 milione e 401 mila) gli autonomi senza dipendenti (3 milioni 314 mila) e i lavoratori parzialmente autonomi (338 mila). La scelta di diventare autonomo è spesso correlata ad una maggiore opportunità per il 38,7% degli indipendenti, o per proseguire l’attività di famiglia per il 24,0% mentre chi è parzialmente autonomo la motivazione, per il 29%, va ricercata nel non aver trovato un lavoro da dipendente e per l’8,9% per una richiesta del datore di lavoro. Sono proprio i parzialmente indipendenti quelli meno soddisfatti del proprio lavoro: mentre autonomi puri e datori di lavoro non cambierebbero la loro condizione (69,5% e 78,9%) un lavoratore parzialmente autonomo su due vorrebbe diventare un dipendente.

Ti potrebbe interessare anche: Giovani e lavoro: perché l’Italia è il paese delle disuguaglianze, l’identikit della generazione perduta