Se ne è andato all’età di 94 anni e con addosso la fascia di sindaco della sua amata Nusco, cittadina di 3.900 abitanti della provincia di Avellino. Il mondo politico (e non solo) piange Ciriaco De Mita, una delle figure più emblematiche di quella che oggi chiamiamo Prima Repubblica. E non solo perché fu deputato dal 1963 al 2008 con l’unica eccezione del biennio 1994-’96. De Mita fu uno degli uomini politici e di governo più importanti tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta.

Tra il 1982 e il 1989 fu segretario della Democrazia Cristiana, il primo partito indiscusso di quei decenni e sempre al governo. Ricoprì vari incarichi di ministro, tra cui all’Industria, al Commercio con l’estero e alle Politiche per il Mezzogiorno. E il coronamento della sua carriera politica passò per Palazzo Chigi tra il 1988 e il 1989. Dichiarò di avere rifiutato di correre con ottime probabilità di successo per presidente della Repubblica nel 1985, in quanto gli piaceva parlare e un capo dello stato è tenuto a un atteggiamento di rigore. Ad ogni modo, fu il “kingmaker” di Francesco Cossiga al Quirinale e dopo anche di Giovanni Goria come presidente del Consiglio.

Chi fu davvero De Mita

Al di là delle condoglianze formali e trasversali ai partiti politici, De Mita sembra avere attirato in questi giorni su di sé la nostalgia di un’Italia che non si rassegna all’idea di avere perduto i bei tempi che furono. Ma è sacrilegio affermare oggi che la figura di De Mita non si caratterizzò certo per capacità di innovazione della classe politica e certamente neppure per lungimiranza di governo? Negli anni in cui fu a capo del principale partito di governo, il debito pubblico italiano esplose letteralmente dal 62% al 92%. Se allarghiamo l’orizzonte temporale al periodo in cui fu al governo in varie cariche e successivamente presidente della DC (1974-’92), esso triplicò dal 36% al 104%.

Colpa di De Mita? Sarebbe assai sciocco rispondere di sì o di no. Il lassismo fiscale fu responsabilità di una classe politica intera, particolarmente della Democrazia Cristiana e poi anche del Partito Socialista Italiano. Fiumi di denari pubblici vennero sperperati per costruire clientele politiche alla luce del sole. Furono gli anni delle pensioni a gogo, delle opere pubbliche iniziate e mai completate, dei sussidi a pioggia alle imprese, delle industrie di stato in profondo rosso, delle assunzioni di massa nella Pubblica Amministrazione, dell’inflazione galoppante, ecc.

Debito pubblico fuori controllo

De Mita fu parte integrante di quel sistema politico, che ebbe indubbiamente anche tanti meriti. E certamente la sua figura si staglia rispetto allo sfondo patetico e umiliante della politica odierna. Era certamente un uomo di cultura e con un eloquio di tutto rispetto. Il suo accento irpino divenne oggetto di satira e caratteristico del personaggio. Ma fa specie che i suoi discepoli siano oggi gli stessi che ci propinano le lezioncine su come tenere i conti pubblici in ordine e su come dovremmo affidarsi alle competenze dei tecnici, salvo rimpiangere l’era del primato della politica. Un primato usato malamente, visto che in eredità ci lasciò la necessità di legarci mani e piedi al vincolo esterno del Patto di stabilità per non fallire.

Uomini dello spessore di De Mita & Co ci consegnarono un’economia morente e conti pubblici allo sfascio totale. Quando firmammo il Trattato di Maastricht nel febbraio 1992, avevamo un debito pubblico quasi il triplo della media europea e pagavamo fino al 12% del PIL in interessi. E’ facile buttare la croce addosso a chi arrivò dopo, così è come facile sostenere che nella Prima Repubblica vi fossero “politici veri”. Ma è una menzogna storica. Un politico per definizione compie scelte, è costretto a selezionare gli obiettivi da centrare con risorse pubbliche limitate.

Invece, negli anni Settanta e Ottanta accadde che i politici accontentarono tutti i desideri e gli appetiti immaginabili dei loro elettori e, dunque, passarono per statisti. Ma stavano distruggendo le basi su cui era stata ricostruita l’Italia nel secondo dopoguerra.

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