Se c’è un’economia in cui il significato dei tassi negativi ha assunto connotazioni pratiche quotidiane, questa è la Germania della cancelliera Angela Merkel. Quasi tutti i suoi Bund rendono ormai sottozero e bisogna andare alle scadenze con durata residua superiore ai 20 anni per trovare rendimenti appena positivi. E nessuno di essi copre ormai nemmeno lontanamente il pur basso tasso d’inflazione. La Germania offre sul suo Bund a 10 anni circa il -0,4% e poche settimane fa ha emesso il suo primo decennale senza cedola.

Debito pubblico, questione di interessi: ecco come Germania e Francia ci battono sui conti

In pratica, prende a debito 100 euro di capitali sui mercati per 10 anni e alla scadenza ne restituirà agli investitori 96. Nel frattempo, il pil tedesco sarà aumentato di un x%, per cui non solo restituirà meno di quanto aveva incassato, ma in valore nominale risulterà un’esigenza di rifinanziamento ancora più bassa rispetto al pil. Se continuasse a crescere ai ritmi registrati dall’uscita dalla crisi nel 2010, tra 10 anni l’economia della Germania avrebbe dimensioni di circa il 30% più grandi di quelle odierne.

Prima della crisi, Berlino spendeva tra il 2,5% e il 3% del suo pil per pagare gli interessi sul debito pubblico, la metà dell’Italia di allora. Già nel 2016, tale percentuale scendeva sotto l’1,5% e l’anno seguente sotto l’1%. Nei primi mesi di quest’anno, risulta essersi assestata intorno allo 0,6% (quasi al 3,5% l’Italia), ma i dati resi disponibili dalla BCE arrivano fino ad aprile, successivamente al quale anche la Germania sta sperimentando nuovi minimi storici per i suoi rendimenti sovrani. Si capisce da questi numeri come mai la pur previdente Berlino non abbia consolidato granché il suo debito pubblico in questi anni, non approfittando dei costi infimi per emetterlo anche sulle lunghissime scadenze. La risposta è solo una: non ne aveva bisogno ieri e non ne avrà bisogno domani.

Il circolo virtuoso che fa scoppiare di salute i conti pubblici tedeschi

Man mano che il debito tedesco giunge a scadenza – mediamente ogni 6,5 anni, meno dei 6,8 dell’Italia – viene rifinanziato con emissioni meno costose e di importo inferiore. Questo secondo punto è dovuto agli avanzi di bilancio cospicui segnati sin dal 2014, grazie ai quali ogni anno riesce a mettere da parte qualcosa, dopo avere pagato le spese dello stato e gli interessi sul debito. Per quest’anno, malgrado il rischio recessione, il World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale stima un surplus fiscale di oltre l’1% del pil.

Per capirci: poniamo che arrivino a scadenza debiti tedeschi per 100 euro e che costano a Berlino mediamente 2 euro all’anno. Il governo per rimborsarli dovrà emetterne di nuovi per 98-99 euro e a costi attualmente negativi, cioè che fruttano soldi, anziché pesare sul bilancio pubblico. Questo significa: a) che il debito si riduce in valore assoluto, oltre che in rapporto al pil; b) che il costo medio del debito si riduce progressivamente, contribuendo a sua volta a migliorare i conti pubblici teutonici, come da classico circolo virtuoso.

I tassi negativi sui Bund li pagano gli inquilini in Germania

Di questo passo, tra qualche anno la Germania non pagherà più interessi sul suo debito, man mano che a scadenza verrà sostituito con emissioni dal costo medio nullo. Questo scenario sembrerà anomalo, eppure si mostra piuttosto consolidato. I Bund beneficiano delle tensioni internazionali e specifiche dell’Eurozona, essendo percepiti come porti sicuri contro i rischi dell’area. Solo se questi sparissero del tutto, inizierebbero a prezzare normalmente. Ma siamo ben lungi da un simile approdo, né basterà un’eventuale ripresa solida e diffusa di tutti i paesi dell’euro per fare dimenticare agli investitori quanto accaduto dopo la crisi del 2008-’09 e le cui cause restano irrisolte, anzi sono connaturate all’essenza stessa dell’unione monetaria e che la Germania, non a caso, vuole resti così.

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