Colpo a sorpresa dalla solita Karlsruhe. La Corte Costituzionale tedesca ha sospeso la ratifica da parte del presidente Frank-Walter Steinmeier del Recovery Fund, in attesa di esprimere il proprio giudizio circa la richiesta presentata da un gruppo di oppositori, guidati da Bernd Luecke, di impedire la partecipazione della Germania al programma, lamentando possibili rischi a carico dei contribuenti tedeschi nel caso di mancata restituzione dei prestiti da parte di uno o più stati comunitari.

La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno nella giornata di venerdì scorso, dato che già Bundestag e Bundesrat, i due rami del Parlamento federale, avevano dato il via libera.

Il capo dello stato stava proprio per firmare il provvedimento. Senza l’ok dei 27 stati dell’Unione Europea, il Recovery Fund non potrà decollare. Tuttavia, il ministro delle Finanze, il socialdemocratico Olaf Scholz, si è detto ottimista sul pronunciamento “in tempi brevi” della Corte e favorevolmente al Recovery Fund da 750 miliardi.

Tecnicamente, i giudici non si sono espressi contro, bensì hanno accolto la richiesta dell’euro-scettico Luecke, fondatore dell’AfD dal quale è fuoriuscito successivamente per creare il Buendnisses Buergerwille, di valutare la costituzionalità del programma per Berlino. Secondo le indiscrezioni, una sentenza arriverebbe entro 90 giorni, in tempo per rispettare la tempistica fissata in sede europea, in base alla quale tutti i Parlamenti nazionali dovranno avallare il Recovery Fund entro il primo semestre dell’anno.

Il Recovery Fund non sarà un pasto gratis

Rischio Recovery Fund più condizionato

Ma c’è un rischio serio, ovvero che Karlsruhe, così come ha fatto di recente con il “quantitative easing” della BCE, fissi limitazioni alla Germania per renderle possibile la partecipazione al programma. L’ipotesi meno peregrina sarebbe che venissero previste condizioni più stringenti riguardo alle erogazioni, così da minimizzare le probabilità di mancata restituzione da parte dei beneficiari. Per l’Italia significa la possibile accettazione di criteri più rigidi per ottenere i fondi da Bruxelles.

Uno scenario che cozza pesantemente con l’ultima proposta del premier italiano Mario Draghi, il quale la scorsa settimana si è speso a favore degli Eurobond, cioè dei titoli di stato comuni. Egli ha suggerito all’Europa di prendere esempio dagli USA per evitare di ripetere errori in fase di ripresa. L’America, ha spiegato, ha un unico mercato dei capitali unico e un’unione bancaria, oltre a un debito comune. Ma alla luce di questi ultimi eventi, se prima giudicavamo remota la possibilità che la Germania accettasse emissioni comuni di debiti, adesso essa appare per il momento impossibile.

Non aiuta di certo il clima pre-elettorale tedesco. A settembre, si vota per rinnovare il Bundestag e Berlino si presenta all’appuntamento con ritardi notevoli sul fronte delle vaccinazioni e con un’opinione pubblica frustrata da un anno di limitazioni della libertà senza risultati tangibili, tant’è che è in corso la cosiddetta terza ondata dei contagi Covid e le restrizioni nazionali stanno per essere inasprite, pur dopo il clamoroso passo indietro della cancelliera Angela Merkel riguardo ai giorni di Pasqua. Il suo partito è in caduta verticale nei sondaggi, gravato dalla sconfitta in due Laender occidentali di due domeniche fa e anche dallo scandalo corruzione sulle mascherine che sta investendo alcuni suoi deputati.

Il brutto pasticcio di Pasqua della cancelliera Merkel ci dice che la Germania è nel caos

Il solito vizio tedesco

E se la sentenza arrivasse solo dopo le elezioni federali per non impattare in alcun modo sul loro esito? Un’ipotesi che certo non dispiacerebbe al centro-destra teutonico, ma che si rivelerebbe fatale per il Recovery Fund e la credibilità già striminzita delle istituzioni comunitarie, sulle quali aleggia il flop della campagna vaccinale. A rischio vi è la pazienza dei mercati finanziari, che negli ultimi dieci mesi hanno atteso fiduciosi su una risposta comune alla crisi, capace di sostenere le economie più deboli sul piano fiscale, tra cui Italia e Spagna.

Governi, cittadini e investitori stanno dando tutti per scontato che i primi fondi UE arriveranno a destinazione nella seconda metà di quest’anno, con ogni probabilità già in estate, quando sarà trascorso circa un anno e mezzo dall’inizio della crisi. Se così non fosse, la speculazione tornerebbe a prendere di mira gli assets finanziari degli stati più malconci e, a quel punto, servirebbe un intervento tempestivo e coordinato di Bruxelles e Francoforte per evitare un nuovo 2011.

Come avevamo avvertito, il debutto di Draghi a Palazzo Chigi si mostra tutt’altro che facile nei rapporti con la Germania. Il premier ha preso di mira l’inconsistenza della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, fidatissima della cancelliera. Berlino ha risposto con un atto giudiziario, ma dalle ripercussioni a metà tra il politico e l’economico-finanziario. Un segnale che non va sottovalutato, perché evidenzia la natura profondamente “sovranista” della politica tedesca, in cui i tempi europei sono affrontati esclusivamente in ottica interna e mai con valutazioni di respiro più ampio. Un film che abbiamo visto negli anni penosi delle trattative sui salvataggi della Grecia, appesi alle scadenze elettorali tedesche, come se l’unica democrazia che conti nel Vecchio Continente fosse quella di Berlino.

L’era Merkel in Germania si conclude con un fiasco quasi totale per l’intera Europa

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