Ad un passo dall’abisso. O forse vi sono precipitati già. I turchi non vivono un momento felice per la loro economia. I dati dell’istituto Turkstat per il mese di aprile sono raccapriccianti: inflazione salita al 70% su base annua, con i trasporti ad avere segnato +106% e generi alimentari e bevande non alcoliche +86%. Sono numeri di una crisi economica auto-inflitta dal presidente Erdogan, il quale continua a ripetere di ambire a un nuovo modello caratterizzato da bassi tassi e partite correnti in attivo.

Peccato che i primi due mesi dell’anno smentiscano questa velleità: deficit corrente a più di 12 miliardi di dollari. Alla fine di aprile, le riserve valutarie erano scese a 65,4 miliardi, in grado di coprire appena due mesi di importazioni. E le riserve nette a metà aprile superavano di poco i 19 miliardi, pur risalendo dai minimi di 7,55 miliardi toccati a gennaio, verosimilmente grazie a operazioni di swap siglate con gli Emirati Arabi Uniti.

Il collasso della lira turca

Insomma, la crisi economica turca sta degenerando. Del resto, questo è il paese con i tassi reali più negativi al mondo: -56%. Proprio il taglio dei tassi d’interesse preteso da Erdogan e attuato dal fido governatore Sahap Kavcioglu ha fatto schiantare la lira turca. Il cambio contro il dollaro perse il 44% nel 2021. Dopo i minimi storici toccati a dicembre, si è grosso modo stabilizzato, ma solamente grazie a misure straordinarie e non ortodosse.

Anzitutto, il piano per garantire i risparmi depositati in lire presso le banche domestiche dalla svalutazione. E le società esportatrici devono convertire nella valuta locale almeno un quarto dei ricavi maturati all’estero. Il resto lo sta facendo la banca centrale con acquisti probabilmente anche massicci e che stanno avvenendo a debito, cioè facendosi prestare miliardi di dollari da altre banche centrali.

Crisi economica agli inizi

Sfuggire alle leggi dell’economia non sarà possibile ancora a lungo.

Mentre quasi tutto il mondo alza i tassi, Ankara li tiene a un quinto dei livelli d’inflazione, a 5.600 punti base sotto. Peraltro, la lira debole accentua i rialzi dei prezzi delle materie prime, non un toccasana per un’economia costretta ad importare la stragrande maggioranza dell’energia che consuma. In questo modo, il valore delle importazioni galoppa e stacca nettamente quello delle esportazioni.

Il passivo commerciale nel solo mese di marzo ha superato gli 8 miliardi di dollari, oltre l’1% del PIL. Servirebbe un grosso afflusso netto di capitali per compensare tale deficit. Sta avvenendo il contrario. Impossibile che la lira turca possa stabilizzarsi ancora per i prossimi mesi, a meno che la banca centrale non voglia “bruciare” tutte le riserve per difendere provvisoriamente il tasso di cambio. Rischierebbe di fare la fine dello Sri Lanka.

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