Il pil italiano dovrebbe crollare quest’anno intorno alla doppia cifra, ma ci sono previsioni ben più allarmanti, con Goldman Sachs a predire un -11,6%. E ieri, la Banca di Spagna ha stimato un pil iberico collassato del 12,4% nel caso in cui il “lockdown” imposto da Madrid durasse 3 settimane, mentre con 2 settimane scenderebbe del 9,5%. Malissimo il tasso di disoccupazione spagnolo, atteso fino al 21,7% quest’anno. L’Italia rischia cifre altrettanto disastrose sul fronte occupazionale. Facciamo per un attimo un conto molto spicciolo, ma in sé non erroneo: se l’economia si contraesse del 10%, a parità di produttività scenderebbe del 10% anche l’occupazione, chiaramente solo quella del settore privato, che oggi si attesta sui 20 milioni di posti di lavoro.

Si perderebbero per strada 2 milioni di lavoratori e il tasso di disoccupazione rischierebbe di raddoppiare a oltre il 18%.

Crisi Coronavirus, faremo i conti a fine emergenza e l’Italia non sarà stata un modello

Ma l’economia è più complessa di come faccia intendere questo semplice calcolo, anche se non è detto che il risultato sarà più favorevole al mercato del lavoro. Se c’è un settore che verrà brutalizzato da questa crisi è quello del turismo, più in generale dell’accoglienza. Incide per il 13% del pil e per il 14,7% dell’occupazione complessiva. In pratica, graviterebbero attorno ai turisti quasi 3 milioni e mezzo di posti di lavoro, per qualche stima fino a 4 milioni e 200 mila. E sapete qual è la notizia più tremenda? Per un anno da oggi dovremo fare a meno degli stranieri.

L’area Schengen, cioè quella che accomuna gli stati dell’Unione Europea e all’interno della quale vi è libera circolazione delle persone, è stata chiusa per cercare di frenare la diffusione del Coronavirus. Le frontiere verranno riaperte verosimilmente alla prossima primavera. La stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha spiegato che sarebbe opportuno che ciò avvenisse solo quando il virus sarà stato posto “sotto controllo”, aggiungendo di attendersi che ciò accadrà “nel lungo termine”, espressione che nel gergo significa tra non meno di un anno.

Solo successivamente, poi, si avrebbe la riapertura delle frontiere con il resto del mondo (Nord America, Giappone, Russia, Cina, etc.).

Turismo KO

Stiamo dicendo, quindi, che torneremo alla normalità sul fronte turistico, se tutto andrà bene, nell’estate del 2021. Per la stagione che sta per iniziare, invece, dovremo arrangiarci. Non solo alberghi, ristoranti, agenzie di viaggio, guide, etc., dovranno accontentarsi dei soli italiani, ma la necessità di osservare la regola della distanza sociale ridurrà la capienza massima consentita nei locali, nei mezzi di trasporto utilizzati per le escursioni, etc. Per non parlare del divieto di assembramenti, che si sostanzia nell’impossibilità di creare eventi per attirare turisti.

Ristoratori d’Italia, muovetevi! Il futuro dopo il Coronavirus è adesso con i ‘dining bond’

Di questi 3 milioni e mezzo di italiani, perlopiù giovani e molto spesso qualificati, che lavorano grazie al turismo, quanti rimarranno effettivamente occupati? Lo inizieremo a percepire sin dai dati di maggio-giugno, quando solitamente l’alta stagione si avvia ad entrare nel vivo e fioccano le assunzioni. Ci aspettiamo dati terribili, perché per quanto gli italiani dopo due mesi di quarantena avranno voglia di buttarsi nella vita mondana, molti di loro non ne avranno il tempo, perché hanno dovuto magari intaccare le ferie a compensazione dei giorni di lavoro perduti, oppure non ne avranno la possibilità materiale per via della crisi. Infine, le regole stringenti nei locali, lidi e spiagge libere a molti faranno passare la voglia di spostarsi. Comunque sia, i flussi saranno notevolmente inferiori agli altri anni e se un locale in una località turistica per l’estate impiegava 5 ragazzi per servire ai tavoli, magari quest’anno ne chiamerà 2-3.

Se qualcuno pensa che gli altri comparti possano assorbire lo shock s’illude alla grande. Anzitutto, la domanda, già debole prima del Coronavirus, ne uscirà tritata e non consentirà alcun aumento delle assunzioni altrove. Sarà un miracolo per un’impresa mantenere i livelli occupazionali pre-pandemici. Le esportazioni, poi, non rimpiazzeranno i minori consumi interni, in quanto la congiuntura internazionale stessa si rivela essere la più debole dal 1929, con un pil globale atteso in calo del 3% dal Fondo Monetario Internazionale. E l’Italia, che ha chiuso le attività in misura più stringente e più a lungo rischia di perdere clienti all’estero, i quali si rivolgerebbero alle aziende con sede nei paesi in cui il lockdown sia già finito o è stato attuato con minore rigidità.

La disperazione dilagante nel Sud Europa

Se venissimo da anni buoni, tutto sommato diremmo che queste crisi, per quanto potenti, si possano superare. Ma l’Italia non crea posti di lavoro da almeno un ventennio, anzi durante la crisi del 2008-’09 e la successiva recessione del 2011-’14 ne ha persi più di quanti ne siano stati creati negli anni seguenti. I giovani italiani risultano già tra i meno occupati in Europa, al sud almeno uno su due è in cerca di lavoro e perlopiù da lungo tempo. Se a questa disperazione ne aggiungiamo dell’altra in arrivo, la miscela di rabbia e frustrazione diventerebbe esplosiva per la stessa tenuta delle istituzioni italiane.

Il fenomeno non sarà solo italiano. In Grecia, il turismo incide per un quarto degli occupati. L’economia ellenica si è contratta di un quarto dal 2007 e adesso rischia di crollare di un altro 15-20%. Questo significa che a fine anno i cittadini qui avranno a disposizione un reddito medio di neanche i due terzi rispetto ai livelli di 13 anni prima e che il numero dei disoccupati rischia di arrivare o forse anche superare il record storico del 27% toccato nei periodi bui della lunghissima crisi scorsa.

Pensate che il malessere si conterrà a colpi di messaggi di fiducia? Ecco spiegato perché l’Europa, che pure è lenta ed elefantiaca nel muoversi, stia infrangendo ogni tabù per impedire che il dilagare della miseria nel sud si trasformi in una grande rivolta contro l’euro e le istituzioni comunitarie.

Serve stimolare la domanda interna di tutti gli stati con massicci investimenti pubblici immediati e anche eventualmente abbassando la pressione fiscale a carico dei contribuenti. Ma questo significherà fare nuovi debiti e ciò appare una missione impossibile senza una copertura esplicita della BCE per stanare sul nascere una crisi di fiducia dei mercati verso i debiti sovrani. Gli stati del nord si oppongono a simili soluzioni e si mostrano semmai disponibili ad accettare la nascita di un “Fondo per la Ripresa” proposto dalla Francia e che si doterebbe di risorse per 500 miliardi. Sarebbe poco e la storia insegna che tutto ciò che nasce a Bruxelles si presenta macchinoso, burocratico, lento e inefficace, tranne rare eccezioni. Ma i milioni di lavoratori a spasso dovranno pur vivere e se otterranno come unica risposta fumose conferenze stampa da venditori di pentole, presto si rivolteranno.

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