Pensate ad un tratto lungo quanto la distanza che separa Roma da Fregene. Appena 40 km, ma che stanno mandando il mondo intero in subbuglio. Lo Stretto di Bab al-Mandab nel Mar Rosso separa l’Asia dall’Africa, per l’esattezza lo Yemen da Gibuti. Da settimane i ribelli Houthi lanciano attacchi alle navi mercantili di passaggio con il pretesto che starebbero commerciando con lo stato di Israele, paese in guerra con Hamas, l’organizzazione terroristica palestinese resasi responsabile dell’eccidio di circa 1.200 ebrei lo scorso 7 ottobre.

Una coalizione guidata da Stati Uniti e Regno Unito da giorni tenta di ripristinare l’ordine nello stretto, contrattaccando con raid mirati i ribelli yemeniti. Uno scenario da incubo sul piano geopolitico e che rischia di alimentare una nuova ondata di stagflazione in Europa, e non solo.

Chi sono gli Houthi? Cosa vogliono e quanti danni possono provocare all’economia mondiale? Di Yemen non sentiamo quasi mai parlare, se non distrattamente in qualche servizio dei tg prima dei titoli di coda. Lo stato a sud della penisola arabica è in guerra civile dal 2011. I ribelli Houthi sono sostenuti dall’Iran, mentre il governo ufficiale dall’Arabia Saudita. Gli scontri hanno provocato una delle più gravi crisi umanitarie della storia. Praticamente, oggi come oggi lo Yemen è uno stato fallito e totalmente distrutto, oltre che ovviamente alla fame assoluta.

Mar Rosso a fuoco, rischio stagflazione

Dallo Stretto di Bad al-Mandab, largo per l’appunto 40 km, transitano le navi mercantili in rotta dall’Asia all’Europa e viceversa. Si calcola che qui passa il 12% del commercio mondiale. Cosa sta succedendo con gli attacchi degli Houthi? Chiaramente, le navi non rischiano gli attacchi e sono costrette a compiere un percorso alternativo. Quale? La circumnavigazione dell’intera Africa, passando per il Capo di Buona Speranza. Questa deviazione le costringe a percorrere quasi 6.000 km in più da Singapore al Mediterraneo e ad impiegare da 12 a 15 giorni in più di tempo.

Il risultato di questo dispendio di tempo si è già tradotto nel rallentamento o nella sospensione della produzione in alcune fabbriche. Non disponendo di alcune componenti per le auto, Tesla ha temporaneamente fermato le attività in Germania. Nel frattempo, i costi di trasporto e assicurazione delle navi sono esplosi. Per andare da Shanghai a Genova, secondo il World Container Index, bisogna pagare il triplo rispetto a prima dell’inizio degli attacchi, qualcosa come oltre 4.400 dollari per ogni container da 40 piedi, l’unità standard impiegata nel settore.

Minaccia a import-export d’Italia

L’Italia è particolarmente esposta al fenomeno. Il 40% degli scambi commerciali marittimi, circa 154 miliardi di euro, avviene proprio tramite il transito nel Mar Rosso. Pensate ai prodotti deperibili come frutta e verdura, che non possono permettersi di attendere fino a due settimane in più per essere consegnati. Si tratta di esportazioni perdute. E il problema non è meno grave sul fronte delle importazioni. In effetti, il rischio è che le navi neppure approdino più nei porti italiani. In effetti, basta dare uno sguardo alla cartina per capire che, una volta circumnavigata l’Africa, conviene dirigersi presso i porti del Nord Europa senza più passare per il Mediterraneo.

Il rischio di stagflazione è tutt’altro che ipotetico. Il ricordo di quanto accade a causa della carenza di chip è ancora vivo tra i consumatori. In quel caso, l’origine del problema fu un focolaio di Covid a Taiwan, nello stabilimento di semiconduttori più importante al mondo. Qui, parliamo di una carenza potenzialmente più generalizzata. Pensate alle auto, i cui rincari dei prezzi sono già altissimi e le cui consegne tardano ad essere effettuate. Quando sembrava che l’inflazione fosse quasi sconfitta, ecco riapparire in lontananza. Le banche centrali si mostreranno più prudenti nelle prossime settimane nel considerare un imminente taglio dei tassi di interesse.

Houthi arma negoziale dell’Iran?

La reazione degli Stati Uniti non a caso è stata risoluta. Non possono permettersi un’altra ondata di stagflazione, specie in un anno elettorale. D’altra parte, le tensioni geopolitiche rischiano di montare ulteriormente. Dietro gli Houthi c’è l’Iran, nemico dell’Occidente. Teheran non ha ottenuto dall’amministrazione Biden quanto preteso, vale a dire un nuovo accordo sul nucleare che ponga fine all’embargo sulle esportazioni di petrolio. Possibile che sia questa la moneta di scambio per cessare le ostilità nel Mar Rosso? Sì, ma risulta improbabile credere che la Casa Bianca scenda a patti a pochi mesi da una tentata rielezione già molto a rischio per l’inquilino democratico.

Anche perché, se accontentasse l’ayatollah Khamenei, manderebbe su tutte le furie il principe saudita Mohammed bin Salman, il quale inasprirebbe la sua politica di restrizione dell’offerta di petrolio, imposta al resto dei membri OPEC. Per il momento non si capisce come se ne possa uscire da questa impasse. D’altra parte, gli Stati Uniti hanno sottovalutato per anni il pericolo rappresentato dagli Houthi, lasciando Riad da sola a combatterli e irritando il regno fino a spedirlo tra le braccia del nemico cinese. In fondo, gli accadimenti di questi giorni non dispiaceranno più di tanto ai sauditi, che possono finalmente dimostrare al mondo di avere avuto ragione sullo Yemen.

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