Le ultime sedute sono state drammatiche per la lira turca. Le perdite hanno sfiorato il 5% nella giornata di giovedì, quando la banca centrale ha comunicato di avere tagliato i tassi d’interesse per la terza volta consecutiva, portandoli dal 16% al 15%. Erano al 19% a settembre. E a ottobre, l’inflazione è salita al 19,89%, per cui i tassi reali risultano negativi di quasi il 5%. Il cambio perde da inizio anno un terzo del suo valore.

Il giorno prima, il presidente Erdogan era tornato a reclamare tassi più bassi, considerandoli pubblicamente il “diavolo”.

L’istituto retto dal governatore Sahap Kavgioclu ha perso ogni credibilità nella lotta all’inflazione. Sono stati licenziati tre governatori dall’estate di due anni fa e altri membri del board di recente sono stati rimpiazzati dopo avere espresso dubbi sull’allentamento monetario in corso.

Kavcioglu aveva assicurato che avrebbe mantenuto i tassi sopra l’inflazione. La promessa si è infranta sulle minacce di Erdogan, il quale prova a rianimare l’economia in vista delle elezioni presidenziali del 2023. Ma la crisi della lira turca agita i sonni del capo dello stato, al potere da oltre 18 anni. I consensi per il suo Akp scivolano di settimana in settimana sugli aumenti esplosivi dei prezzi. Le famiglie vanno a fare la spesa e l’indomani notano che tutto costa molto di più del giorno prima. Erdogan crede di risolvere il problema ordinando l’istituzione di 1.000 mercati rionali in tutto il territorio nazionale.

Lira turca e potere d’acquisto in caduta libera

Negli ultimi 5 anni, il salario minimo legale è stato raddoppiato a 3.577,5 lire al mese (qualcosa come 285 euro scarsi), ma nello stesso arco di tempo l’inflazione cumulata è cresciuta altrettanto. Dunque, nessun miglioramento nelle condizioni di vita dei turchi, anzi i redditi fisso non stanno tenendo il passo con il boom dei prezzi. Le implicazioni macro di questo disastro sono gravi.

La Turchia ha debiti esteri per 446 miliardi di dollari, di cui 13 da pagare entro fine anno e altri 25 nel primo semestre del 2022. Le riserve valutarie nette e senza considerazione gli “swaps” risultano, però, negative per 37,5 miliardi.

Chi ha investito sul mercato azionario anatolico, quest’anno si sta ritrovando a perdere denaro. Gli investitori esteri accusano perdite in dollari per circa il 18%, quelli domestici per via dell’inflazione. I rendimenti obbligazioni a lungo termine a stento coprono quest’ultima, mentre per gli investitori stranieri non c’è nulla da fare: il 20% offerto dalla scadenza a 10 anni è nulla rispetto al -33% accusato dalla lira turca contro il dollaro. Non è un caso che i capitali esteri stiano prosciugandosi. Incidevano per un terzo del debito sovrano sul mercato nel 2013, mentre oggi non arrivano al 5%.

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