E’ stata una seduta particolarmente negativa per il dollaro americano quella di venerdì scorso. Il tasso di cambio ha perso l’1,85% contro le principali valute mondiali, mai così male in una sola giornata da inizio pandemia. Ne hanno approfittato le materie prime come petrolio e oro, apprezzatesi rispettivamente del 4,31% e del 3,1%. Ad avere trascinato in basso il biglietto verde sono stati i dati sull’occupazione americana a ottobre. Nel mese sono stati creati più posti di lavoro non agricoli del previsto, cioè 261.000 contro 205.000 stimati.

Al contempo, però, il tasso di disoccupazione è salito dal 3,5% al 3,7% e la partecipazione al mercato del lavoro è scesa dal 62,3% al 62,2%. In crescita i salari orari del 4,7% annuo e dello 0,4% mensile, meno del +5% di settembre, ma il dato mensile è risultato superiore alle stime del +0,3%.

Risalgono euro e yuan

Il quadro è complessivamente abbastanza positivo per il mercato del lavoro americano, ma gli investitori hanno cercato di cogliervi gli aspetti minimamente negativi per puntare contro il dollaro. Anche perché nelle stesse ore si rafforzavano le voci, secondo le quali la Cina starebbe per allentare le durissime restrizioni anti-Covid di questi mesi. La notizia ha permesso allo yuan di rafforzarsi di ben l’1,7% contro il dollaro, mai così tanto in un’unica seduta da quando il suo cambio off-shore è stato lasciato parzialmente libero di fluttuare sui mercati nel 2010.

C’è da dire che la valuta cinese era precipitata ai valori più bassi dal 2008. Il rimbalzo ha riguardato anche il cambio euro-dollaro, riportatosi intorno alla parità. Dato il brusco movimento, a fronte di notizie macro poco significative, c’è da chiedersi se per il dollaro sia iniziato il trend ribassista che i mercati scontano per il medio-lungo termine. In effetti, non c’è analista che non noti come il biglietto verde sarebbe sopravvalutato. I fondamentali macro non giustificherebbe tanta forza, se è vero che la bilancia commerciale resta molto negativa e così anche i saldi di finanza pubblica.

Impatto ambiguo sul dollaro dalla Cina

L’allentamento delle restrizioni anti-Covid in Cina avrebbero un impatto ambiguo sul resto dell’economia mondiale. Esse da un lato ridurrebbero le strozzature dell’offerta, che tanto hanno contribuito nell’ultimo anno ad alimentare l’inflazione. La Federal Reserve avrebbe qualche ragione in più per fermare la stretta sui tassi d’interesse. E poiché la forza del dollaro è fondata sostanzialmente su livelli relativamente elevati dei tassi, praticamente il cambio sarebbe destinato a indebolirsi.

D’altra parte, se la macchina produttiva cinese riparte a pieno regime, la domanda di petrolio aumenterà in Cina e con essa i prezzi internazionali. Anziché scendere, i costi dell’energia rischiano di salire ulteriormente. E questo scenario ci spinge a restare cauti sia sull’imminente raggiungimento dell’apice per i tassi d’inflazione in Occidente, sia in merito al presunto sgonfiamento del “super dollaro”. Anche perché le tensioni geopolitiche non autorizzano a ipotizzare un riafflusso dei capitali nell’Eurozona o in Asia. Il trend ribassista per la divisa americana potrebbe attendere ancora un po’ prima di attivarsi sul serio.

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