Ai boccaloni che avevano creduto alla storiella degli aiuti del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) erogati senza condizioni non sarà parso vero ieri aver letto sulla stampa della “sorveglianza rafforzata” sui conti pubblici dei paesi richiedenti, in accordo con le regole del “Two Pack”, e anche per il caso dei prestiti utilizzati per la lotta al Coronavirus. Questo è contenuto nella bozza dell’accordo inviato ai governi dell’Eurozona e che dovrà essere discussa in videoconferenza al Consiglio europeo del prossimo 5 maggio.

In sostanza, l’assenza di condizioni di cui sinora abbiamo discusso si rivelerebbe una grossa bufala raccontata agli italiani per convincerli ad ingoiare il rospo degli aiuti europei.

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Com’era ovvio che fosse, le erogazioni avverrebbero dietro monitoraggio dei conti pubblici da parte di Bruxelles. Attenzione, i controlli non ricadrebbero sulle sole voci di spesa finanziate, ma su tutti i conti dello stato, perché il non detto di queste settimane e denunciato dalle opposizioni è che la richiesta di aiuto al MES equivarrebbe all’attivazione di una procedura di assistenza finanziaria, per quanto nel caso specifico connessa alla lotta contro la pandemia. Non a caso, l’Italia sinora con il premier Giuseppe Conte vorrebbe che i prestiti da 240 miliardi in tutto, ovvero del 2% del pil dell’Eurozona, fossero richiesti da tutti i paesi o, comunque, da un nutrito gruppo di paesi, così che la procedura scatti nei confronti di tutti e non crei alcuna stigmatizzazione ai danni degli assistiti.

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All’Italia spetterebbero 36 miliardi di euro scarsi, probabilmente a un tasso d’interesse prossimo allo zero, data la capacità del MES di emettere obbligazioni sul mercato a rendimenti sostanzialmente nulli anche per le lunghe scadenze. Considerando che i rendimenti a 10 anni dell’Italia sfiorano e oltrepassano a tratti la soglia del 2%, comprensibile come questa liquidità faccia gola a Roma, in quanto ci costerebbe almeno mezzo miliardo all’anno in meno di interessi, nel caso in cui fosse richiesto il massimo ammontare possibile.

Tuttavia, quello sarebbe il costo della sorveglianza rafforzata a cui i nostri bilanci statali verrebbero sottoposti dal MES fino a quando non venisse rimborsato l’ultimo centesimo del prestito erogato.

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Cosa significherebbe nel concreto? Va da sé che dopo la conclusione della sospensione, il Patto di stabilità tornerà a valere con tutte le sue regole fiscali. Bisognerà non solamente tagliare il deficit sotto il 3% del pil, ma tendere a un rapporto debito/pil del 60%, anche attraverso il raggiungimento del pareggio di bilancio e il conseguente taglio del rapporto debito/pil di un ventesimo all’anno per la quota eccedente il 60%, come imposto dal Fiscal Compact del 2012. Sin qui, a dire il vero, nulla che non dovremmo rispettare comunque vada. Il problema è che l’Italia ha già oggi un debito pubblico al 135% e che dovrebbe esplodere a fine anno nei pressi del 160%.

Data l’enorme montagna di stock passivo, Bruxelles si mostra da anni più rigorosa con l’Italia sul rispetto dei vincoli fiscali, tant’è che le relazioni con Roma sono state burrascose dal 2011, in particolare, nonostante il nostro deficit sia stato significativamente più basso di quello di paesi come Francia e Spagna, addirittura sempre sotto il 3% dopo il 2011. Con la sorveglianza rafforzata del MES, l’Italia subirebbe un commissariamento vero e proprio, in quanto ci verrebbero imposte misure extra di contenimento della spesa e/o di aumento delle entrate per tendere al pareggio di bilancio strutturale prima degli altri, così da tagliare il rapporto debito/pil più celermente.

Rischio tensioni con i partner dell’euro

Il problema rivelato da queste misure di austerità fiscale alla cieca, cioè senza una chiara linea sul come tendere al pareggio, consiste nel deprimere i tassi di crescita, finendo per aggravare il problema che si vorrebbe risolvere. Ma al MES importerebbe poco, perché essendo nei fatti la “banca” degli stati dell’euro, il suo unico obiettivo sarebbe di recuperare il prestito nei termini concordati, monitorando il “cliente”, affinché non metta in atto comportamenti capaci di intaccare il credito concesso.

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Il punto sta tutto qui. Nell’Eurozona, i rapporti tra stati vengono regolati come fossero tra creditori e debitori e da organismi terzi, tecnici, nei fatti ricadenti sotto il controllo degli azionisti forti, cioè Germania e Francia, in primis. Il MES non solo non fa eccezione a questa regola, ma non può nemmeno volendo attenuare le condizioni annesse alle sue erogazioni, altrimenti contravverrebbe ai Trattati europei. E ciò sarebbe possibile solo in assenza di paesi che ne chiedessero il rispetto, un po’ come quando in un comune tutti vanno in moto senza casco e la polizia municipale fa finta di non vedere fino a quando il sindaco non pretenderà che la norma venga rispettata. Paesi come Olanda, Austria e Finlandia, in particolare, ci farebbero le pulci dal giorno dopo che ricevessimo denaro di cui, quota parte, sarebbero i titolari. E rischiamo non solo un’umiliante ingerenza negli affari interni, ma anche l’esplosione di tensioni politiche con il resto dell’area, stavolta con conseguenze irreparabili.

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