Mercoledì pomeriggio, il cambio euro-dollaro ha toccato il livello più basso da venti anni a questa parte a un tasso sotto 1,02. Gli analisti intravedono il raggiungimento della parità entro la fine dell’anno. Al contempo, scendeva sotto la parità contro il franco svizzero. Il venerdì precedente, l’Eurostat pubblicava il dato sull’inflazione nell’Area Euro a giugno: 8,6%. E gli analisti indipendenti prevedono per la sua economia una caduta nella recessione entro la fine dell’anno. Cos’altro potrebbe andare storto? Abbiamo la guerra alle porte, ma la viviamo sul piano economico come se al fronte ci fossimo noi in prima linea.

Morgan Stanley è arrivata a prevedere un prezzo del petrolio a 380 dollari al barile nel caso in cui la Russia reagisse alla nuova ondata di sanzioni del G7 tagliando del tutto le sue esportazioni.

Euro debole e alta inflazione

Al board del 21 luglio, la BCE alzerà i tassi d’interesse per la prima volta dal 2011. Lo farà per uno striminzito 0,25%, almeno stando alle sue stesse dichiarazioni. Fatto sta che alla fine di questo mese i tassi sui depositi saliranno solamente al -0,25%. Nel frattempo, la Federal Reserve li avrà portati al 2,50%, a fronte di un’inflazione sostanzialmente simile. La BCE sta a tutti gli effetti tradendo il suo mandato, che consiste nel perseguire la stabilità dei prezzi nel medio termine. Ciò significa tendere a un’inflazione media annua nell’ordine del 2%.

Quando nacque l’euro, l’Italia ci entrò per diverse ragioni, ma la principale fu di garantirsi una moneta stabile e un potere d’acquisto grosso modo invariato nel tempo. Due decenni di “liretta” ci avevano consegnato un’Italia con tassi d’inflazione alle stelle e un’economia allo sfascio. Fatto sta che dopo un ventennio dalla scomparsa delle monete nazionali, ci stiamo ritrovando con un euro debole e un’inflazione fuori controllo.

Hanno probabilmente ragione quanti eccepiscono che sarebbe stato persino peggio con la lira. Possiamo credere che a Roma avrebbero tollerato un cambio ancora più debole e una corsa dei prezzi al consumo più scatenata. Ma ciò non fa brillare l’euro, che sta tradendo le premesse su cui è nato.

BCE paralizzata da tensioni interne

La BCE è la causa dell’euro debole, avendo perseguito ad oggi una politica monetaria che definiremmo lassista, più che espansiva. Ma se non ha alzato ad oggi i tassi d’interesse, è solo per la paura di una nuova crisi dello spread nel Sud Europa, nello specifico in Italia. L’istituto è paralizzato dal timore di finire come nel 2011, quando dovette rimangiarsi il rialzo dei tassi dopo che i rendimenti italiani e spagnoli erano esplosi. Ci sarebbe una soluzione per mettere d’accordo tutti: varare uno scudo anti-spread che disinneschi sul nascere qualsivoglia attacco speculativo contro i BTp. In questo modo, la BCE potrebbe aumentare i tassi in misura appropriata e rinvigorire l’euro.

Pur dopo un board d’emergenza a giugno, in cui è stato annunciato proprio il varo di un nuovo scudo anti-spread, il piano allo studio sta assumendo sembianze tutt’altro che risolutive. Le diffidenze reciproche tra Nord e Sud Europa impediscono alla BCE di agire da vera banca centrale. Troppi i paletti fissati a ogni nuova misura al vaglio. Del resto, Francoforte vive la condizione anomala di battere moneta per 19 stati con altrettante politiche fiscali. Non riesce a superare questa condizione ed emanciparsi dai poteri di veto delle singole banche centrali azioniste. Ci sta consegnando una realtà che è l’esatto contrario di quanto promesso ai cittadini dell’Eurozona agli inizi del Millennio: euro debole e inflazione alle stelle. Per non perdere la fiducia di questo o quel governatore, la BCE sta perdendo velocemente la fiducia dei suoi cittadini.

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