Tutto si può dire, tranne che gli abitanti dell’Islanda non siano abituati ai terremoti e ai capricci del loro vulcano. Ma stavolta stanno avendo paura persino loro. Il villaggio di Grindavik, 40 km a sud della capitale Reykjavik, è stato sfollato. I suoi 3.600 abitanti stanno pernottando o in alberghi o da amici e parenti altrove sull’isola. In pochi giorni ci sono state oltre 3.000 scosse di terremoto. E per 15 km da nord-ovest in direzione dell’Atlantico, la superficie si è rigonfiata per la risalita del magma.

Si teme che da un momento all’altro possa esservi un’eruzione vulcanica.

Allerta eruzione vulcanica, danni per economia locale

Il 10 novembre scorso, un’allerta della Protezione Civile ha lanciato l’allarme su un intenso sciame sismico. Il ricordo va all’aprile del 2010, quando il vulcano Eyjafjallajokull eruttò e sparse nell’aria 250 milioni di metri cubi di ceneri, portando alla cancellazione di 100.000 voli. Con il freddo, parte di quelle ceneri si solidificò, arrivando fino in Europa. Ad oggi, ci sono state poche cancellazioni all’aeroporto internazionale Keflavik. E finora nessun paese europeo ha imposto un divieto espresso ai propri cittadini di recarsi in Islanda.

Semmai, le autorità britanniche hanno lanciato un “warning” per avvertire sui pericoli e l’Irlanda ha invitato a seguire “per tutto il tempo” le direttive delle autorità locali, al contempo non permettendo di recarsi direttamente a Grindavik. Anche se l’eruzione vulcanica alla fine non dovesse esserci, l’economia in Islanda rischia di risentirne ugualmente. A differenza del 2010, infatti, nell’ultimo decennio l’isola è diventata una meta turistica apprezzabile. Ha giocato a suo favore anche essere stata l’ambientazione di una serie cult come “Il Trono di Spade”.

Islanda da anni meta turistica

Prima del Covid, il settore era arrivato a valere 770 miliardi di corone, circa 4,55 miliardi di euro, corrispondenti all’8,1% del PIL.

L’anno scorso, l’Islanda ha attirato 460 mila visitatori stranieri, di cui quasi l’80% da Regno Unito e Germania. Nel 2021, risultavano occupati nel turismo 17.700 lavoratori, pari all’8% della forza lavoro complessiva. Pur in ripresa dopo la pandemia, l’anno scorso sul PIL il turismo incideva per il 6,1%. Considerate anche, poi, che l’isola è lontana dal resto del mondo e i voli internazionali sono spesso necessari anche per esigenze basilari per la popolazione locale, come l’import/export di merci, tra cui generi alimentari. Già nel 2019 il fallimento della compagnia aerea Wow Air creò non pochi danni all’economia del luogo.

Se questi numeri vi sembrano modesti, pensate che gli abitanti dell’Islanda sono appena 350 mila e che negli anni scorsi c’è stato un boom di presenze così elevato da avere rappresentato una minaccia alla conservazione delle bellezze paesaggistiche. Ci sono stati tantissimi stranieri che hanno messo piede sull’isola senza avere potuto prima prenotare un albergo o un b&b, tutti pieni, dovendo sul posto bussare alle porte delle case per chiedere alloggio.

Forse non è un caso che la corona islandese si sia indebolita contro l’euro ai minimi dallo scorso gennaio, anche se limita le perdite all’1,5% quest’anno. Rispetto ai massimi del 2017, il cambio segna un pesante -28,5%. Cosa faranno le centinaia di migliaia di stranieri che ogni anno vengono in Islanda per trascorrere una vacanza all’insegna della natura selvaggia e compiere un’esperienza di viaggio totalmente diversa dal comune? Il rischio è che tra crisi economica europea e paura per l’eruzione vulcanica, le presenze crollino. Anche perché si tratta di una meta cara e già i venti di recessione nel Vecchio Continente non farebbero presagire granché di buono. Un terzo dei turisti stranieri, poi, ha tra 25 e 34 anni. E i giovani, si sa, sono vittime della crisi.

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