L’Islanda è stata al centro di intense discussioni sulla crisi finanziaria in questi anni, molte delle quali sono diventate leggende. Come quella, in base alla quale il governo di Reykjavik avrebbe sacrificato gli investitori stranieri e le banche per salvare l’economia nordica. Sappiamo che le cose sono andate assai diversamente, anche se è vero che sull’isola sono rimasti bloccati diversi miliardi di dollari, dopo che nel 2008 furono imposti controlli sui capitali per evitare un tracollo finanziario ancora più intenso, a seguito del default da 85 miliardi di ben tre banche nazionali.

Adesso, i tempi sembrano maturi per svoltare e il governo conservatore, composto da Indipendenti e Progressisti, ha da pochi giorni varati alcune norme, che attenuano la stretta sui capitali dall’1 gennaio prossimo. Gli islandesi potranno effettuare pagamenti sui prestiti in valuta straniera, investire in strumenti finanziari emessi all’estero fino a 30 milioni di corone (circa 240.000 euro), acquistare un immobile all’anno all’estero e provvedere all’invio di denaro per il sostentamento di persone all’estero illimitatamente, senza dover provare di recarsi all’estero, come avviene ad oggi. (Leggi anche: Islanda paga tutti i debiti, il falso mito della rivoluzione democratica)

Arrivano i Pirati

Sarà anche grazie all’allentamento dei controlli, che quest’anno la corona islandese ha guadagnato il 10% contro dollaro ed euro, salendo ai livelli più alti dal 2008, l’anno del tracollo dell’economia dell’isola, quando il cambio praticamente si dimezzò contro la moneta unica.

Alla base del recupero c’è anche la robusta crescita economica di questi anni (+4,5% quest’anno e +4% l’anno prossimo, stando alle stime della banca centrale), roba da fare invidia a qualsiasi altro paese della UE. Eppure, questo sabato gli islandesi votano per rinnovare il Parlamento e i sondaggi annunciano la vittoria dei Pirati, un partito di protesta anti-establishment, che punta a diventare il “Robin Hood” dell’Islanda, redistribuendo ricchezza dai ricchi ai poveri.

 (Leggi anche: Islanda pronta a rimuovere controlli sui capitali)

 

 

 

Che ne sarà dei capitali stranieri?

Accreditati di oltre il 22% dei consensi e guidati dalla 48-enne Birgitta Jonsdottir, che si autodefinisce “poetessa”, potrebbero impedire al centro-destra di ottenere un secondo mandato e alla sinistra di governare da sola. I Pirati islandesi si dicono pronti a formare una coalizione insieme al Movimento dei Verdi di Sinistra e ai Socialdemocratici, anche se con questi ultimi l’impresa appare più complicata.

I fondi USA farebbero meglio ad accettare le condizioni proposte dalla banca centrale di Reykjavik a settembre, quando fallì un’asta per collocare 2,7 miliardi di dollari in titoli, rimasti intrappolati sull’isola dal 2009, che al cambio attuale implicano uno sconto del 40% a carico dei detentori, i quali reclamano l’applicazione di un cambio per loro più favorevole.

Gli investitori stranieri detengono anche 195,7 miliardi di corone in titoli di stato islandesi, cioè circa 1,5 miliardi di euro, un quarto del debito totale emesso dallo stato. Che ne sarà di queste somme, se i Pirati arriveranno al governo questo fine settimana? L’economista danese Lars Christensen non sembra preoccupato. Spiega di attendersi “disordine” sul piano politico, “ma di tipo nordico, non alla venezuelana”. (Leggi anche: Islanda dibatte su moneta sovrana)