L’attentato a Kerman ha provocato un centinaio di vittime e surriscaldato la già alta temperatura nel Medio Oriente. La ricorrenza per il quarto anniversario dell’uccisione del generale Qasem Soleimani, avvenuto con un raid americano all’aeroporto di Baghdad, è stata celebrata nel sangue. Ancora ignota la matrice. La certezza è che il regime in Iran sta già sfruttando il caso per giustificare il suo possibile intervento militare contro Israele. Uno scenario horror per il mondo intero, perché trascinerebbe in guerra tutte le potenze regionali, a partire dall’Arabia Saudita, se non persino gli Stati Uniti.

Repubblica degli ayatollah spina nel fianco dell’Occidente

L’Iran è uno dei fattori di principale destabilizzazione geopolitica nell’ultimo mezzo secolo. La Repubblica Islamica, fondata nel 1979 dall’ayatollah Khomeini dopo la cacciata dello shah, è sempre stata sin dalla sua nascita una spina nel fianco dell’Occidente. Con una popolazione di 88 milioni di abitanti, vale due volte e mezzo il regno saudita. Eppure, possiede un PIL due volte e mezzo più piccolo.

Le pessime condizioni dell’economia in Iran hanno scatenato numerose proteste negli ultimi quindici anni. Nell’autunno del 2022, prendendo a pretesto l’uccisione di una giovane donna da parte della polizia morale per avere indossato male il velo, centinaia di migliaia di persone scesero nelle strade per inveire contro il regime dispotico e corrotto retto dall’ayatollah Khamenei, guida spirituale e leader de facto della repubblica.

Forte malcontento sociale

Questi primi giorni del 2024 erano stati già caratterizzati da malcontento sociale prima ancora dell’attentato alla tomba di Soleimani. A fronte di un aumento del 18% del salario minimo, le tariffe per rete internet su mobile sono state innalzate del 34%. E in Iran chi si vuole collegare alla rete, in nove casi su dieci sceglie proprio l’internet mobile, anziché la banda larga. L’inflazione nel paese sfiora ancora il 40%, pur in calo.

E la disoccupazione si attesta sopra il 10%. Scarsissime le opportunità di lavoro. Pensate che il tasso di occupazione risulta inferiore al 40%, ma tra le donne crolla sotto il 15%. A titolo di confronto, almeno un terzo delle donne saudite risulta lavorare. In Italia, per quanto relativamente infima sia la percentuale nel confronto europeo, supera il 52%.

La piovra dell’Iran in Medio Oriente

Grazie ai sempre più stretti rapporti con la Cina, l’Iran sta riuscendo a dribblare le sanzioni americane, esportando la media di 1,5 milioni di barili al giorno. Sebbene tali vendite all’estero avvengano a sconto – si parla di 60 dollari al barile contro un Brent a quasi 80 dollari – le entrate fiscali per lo stato stanno aumentando. Cionondimeno, le condizioni di vita dei cittadini non migliorano e nemmeno i conti pubblici. Oltre un quinto del budget dello stato se ne va in spese militari, che superano il 6% del PIL. Tra l’altro, l’Iran finanzia i gruppi a sé vicini in Libano e Siria, al fine di controllare quelli che nei fatti sono da tempo due suoi “protettorati”.

Ecco spiegata la ragione per cui Teheran ha preso malissimo l’uccisione del numero due di Hamas a Beirut, che considera il suo cortile di casa. La frustrazione dei giovani e delle donne, in particolare, sta diventando elevatissima e minacciosa per la sopravvivenza del regime. A dicembre, fece il giro del mondo la notizia che il video sui social di un tassista che ballava per strada fosse stato censurato, in quanto “contrario alla legge islamica”. Se ne parla pochissimo in Europa, ma da oltre un decennio l’Iran destabilizza la penisola arabica attraverso i ribelli Houthi nello Yemen, uno dei paesi più martoriati al mondo a causa della guerra civile.

Ribelli, che da settimane stanno attaccando le navi petroliere di passaggio dal Mar Rosso con l’unico vero obiettivo di alimentare la tensione geopolitica e infliggere dolore alle economie “infedeli” tramite la risalita delle quotazioni del Brent.

Sembra essere tornati al fatidico 1979 con la seconda crisi petrolifera esplosa proprio a causa della nascita della Repubblica Islamica dell’Iran. Da allora, pensate che il tasso di cambio contro il dollaro si è deprezzato di quasi 10 mila volta. Era a 1:70, mentre adesso sul mercato nero si aggira anche a 535.000, quando per il cambio ufficiale di rial ne basterebbero 42.000 per acquistare un dollaro.

Scarsa libertà economica in Iran

La strategia sembra chiara: indirizzare le tensioni sociali interne su un nemico esterno, che resta sempre l’Occidente e lo stato di Israele. Improbabile che paghi. Tant’è che la repressione ai danni di chicchessia non fa crescere, segno che il regime teme nuove proteste e la perdita di autorità nel paese. Ma perché l’economia in Iran va così male? A parte le sanzioni occidentali, il punto è che l’80% delle attività e del loro giro di affari risulta controllato dallo stato. Anche se la libertà d’impresa formalmente esiste, nei fatti è il regime a decidere chi debba gestire le aziende sopra certe dimensioni. Inutile dire che la corruzione sia altissima e le inefficienze all’ordine del giorno.

Secondo la classifica internazionale sulla Libertà Economica di Heritage Foundation, nel 2023 l’economia iraniana risultava in posizione 169 su 176 censite. Peggio facevano soltanto Corea del Nord, Cuba, Venezuela, Sudan, Zimbabwe, Eritrea e Burundi. Non vi sembri strano che si tratti perlopiù di paesi non solo poveri, ma anche in ottimi rapporti con Teheran. Proprio questa sua caratteristica di paese chiuso e desideroso di spostare altrove l’attenzione dai suoi problemi rende l’Iran una mina vagante. Soltanto la Cina in questa fase sembra nelle condizioni di controllarne gli istinti, come ha dimostrato lo scorso anno con la storica firma a Pechino dell’accordo tra la repubblica e il regno saudita per porre fine a decenni di tensioni.

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