La buona notizia è che l’inflazione sta scendendo anche in Italia. Era all’11,6% a dicembre, è scesa al 10,1% a gennaio. Per i meno avvezzi ai numeri, non significa che i prezzi al consumo siano in calo. Solo che stanno crescendo meno velocemente. E, comunque, sempre a doppia cifra. Immaginate di andare a 180 km l’ora in autostrada e di rallentare a 150 km. Non state facendo retromarcia, ma solo correndo un po’ meno. Questo accade con l’inflazione in questi mesi. A meno che nel prossimo futuro i prezzi di beni e servizi non scendano, il potere di acquisto è andato perduto per sempre.

Potrà essere eventualmente recuperato solo dai maggiori redditi, al momento al palo.

Aumentano spese obbligatorie

Una definizione molto diffusa dell’inflazione è che essa sia “una tassa occulta” e anche “una tassa sui poveri“. Esistono svariate motivazioni alla base di queste espressioni. La prima è che i percettori di redditi fissi non riescono nell’immediato a compensare l’aumento del carovita con maggiori entrate. Viceversa, chi ha redditi da lavoro autonomo può scaricare i maggiori costi alla clientela con maggiore facilità. Non sempre è possibile, specie per coloro che sono attivi in settori esposti alla concorrenza.

Inoltre, le famiglie con redditi più bassi destinano una quota più alta dei loro redditi alle cosiddette spese obbligatorie. Sono quei costi di cui non si può fare a meno, come generi alimentari, bevande, luce, acqua, gas, ecc. Dunque, se i prezzi di questi beni e servizi aumentano, l’impatto diventa più forte sui redditi più bassi. E non è tutto. L’inflazione determina una redistribuzione della ricchezza da chi guadagna di meno verso chi guadagna di più, indipendentemente dalla tipologia dei redditi stessi. In questa fase, sappiamo l’impatto che essa sta avendo su mutui e prestiti. Le rate aumentano e i bilanci familiari ne soffrono.

Ma l’inflazione agisce in maniera perfettamente opposta sulle famiglie con capacità di risparmio.

Inflazione colpisce poveri e premia ricchi

Coloro che hanno la possibilità di investire, trovano oggi possibile acquistare asset con rendimenti più elevati rispetto a pochi mesi fa. Ad esempio, un BTp a 10 anni rende circa il 4,30% contro l’1,30% di inizio 2022. Chi possiede liquidità di cui potersi privare per i prossimi anni, ha modo di impiegarla in modo più redditizio. In pratica, l’inflazione gli/le consente di guadagnare grazie agli investimenti più di prima, mentre il resto della popolazione deve tirare la cinghia. E nel caso specifico, dovrà sostenere in qualità di contribuente anche l’onere di tali rendimenti più alti.

Anche il presidente della Consob, Paolo Savona, nei giorni scorsi ha definito l’inflazione “tassa iniqua”. Non è retorico se proviene da colui che per mestiere monitora le società quotate in borsa. L’iniquità dell’inflazione deriva dal fatto che chi detiene liquidità da investire riesce non solo a proteggere il potere di acquisto, ma possibilmente a migliorarlo. Chi non dispone di risorse sul conto corrente, ne subisce gli effetti negativi in termini di minore capacità di consumo. Ed ecco che l’espressione “i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri” si fa drammaticamente vera. Ma questo accrescimento delle disuguaglianze non è la conseguenza di virtù dei primi o di difetti dei secondi, quanto di un fenomeno fabbricato dalle banche centrali a colpi di maxi-stimoli monetari all’economia.

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