E’ andata molto meglio del previsto la pubblicazione sui dati dell’inflazione in Italia e nell’Eurozona di martedì scorso. L’indice dei prezzi al consumo in ottobre è salito su base annua soltanto dell’1,8% nel Bel Paese e del 2,9% nell’intera unione monetaria. A settembre, si era registrato rispettivamente +5,3% e +4,3%. Numeri che hanno messo ottimismo ai mercati, con lo spread BTp-Bund a 10 anni sceso fin sotto 190 punti base e il rendimento decennale quasi al 4,65%. Si allontana l’ipotesi di un ultimo aumento dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea (BCE).

Anche perché a ripiegare è stato anche il PIL nell’Eurozona, che nel terzo trimestre ha segnato -0,1%.

Ci sono altri dati sull’inflazione, però, che spingono ad una maggiore cautela nelle previsioni sul prossimo futuro. L’indice “core”, al netto di energia e generi alimentari, è passato nell’Eurozona dal +4,7% di settembre al +4,6%. In Italia, ha segnato +4,2% dopo il +4,6% del mese precedente. Dunque, ad avere inciso sul calo è stato il tracollo dei prezzi energetici, al netto del quale i prezzi al consumo in generale restano poco variati. Possibile che l’inflazione continui a scendere anche nei due mesi rimanenti dell’anno o rischiamo di restare delusi dai prossimi dati?

Petrolio ancora in calo annuo

Per rispondere a questo interrogativo, dobbiamo considerare l’andamento di petrolio e gas, le due materie prime che incidono in misura determinante sui prezzi dell’energia. Il Brent attualmente si acquista a più di 85 dollari al barile. E il cambio euro-dollaro vale intorno a 1,0550. Questo vuol dire che importare un barile ci costa mediamente sugli 82 euro. Nel bimestre novembre-dicembre, il costo medio si attestò in area 84 euro. In poche parole, manteniamo ancora un piccolo vantaggio rispetto allo scorso anno. A quotazioni e cambio invariati, l’incidenza del costo del petrolio tenderà a diminuire, pur di poco.

E l’inflazione continuerebbe a scendere, ceteris paribus.

Il problema è che lo scenario geopolitico è diventato incandescente nelle ultime settimane. La guerra tra Israele e Hamas rischia di fare esplodere le quotazioni internazionali nel caso in cui il conflitto si allargasse al resto del Medio Oriente. Dal Golfo Persico transita oltre un quinto dell’intera offerta globale di greggio. Eventuali chiusure, embarghi e tensioni tra paesi come Iran e Arabia Saudita avrebbero un impatto disastroso sul mercato mondiale.

Crollato prezzo del gas

E poi c’è il gas. Nel bimestre novembre-dicembre la quotazione media alla Borsa di Amsterdam sfiorava i 125 euro per Mega-wattora. Ieri, risultava inferiore ai 48 euro. In questo caso, disponiamo di ampi margini prima che l’impatto sull’inflazione non volga nella direzione indesiderata. Per quanto detto, oggi come oggi le prospettive sarebbero per una ulteriore discesa della crescita dei prezzi al consumo da qui a Natale. Consideriamo anche che l’economia nell’area si stia contraendo e i consumi o scendono o si “raffreddano” alquanto nei vari contesti nazionali. Ciò contribuisce a deprimere la domanda globale e a disinflazionare il mercato.

Su inflazione pesano rinnovi contrattuali

C’è ancora un altro fattore di rischio da mettere in conto per il medio termine: i salari. I rinnovi contrattuali stanno avvenendo con aumenti per le retribuzioni orarie dei lavoratori ben superiori ai livelli pre-Covid. E persino in Italia registrano un’accelerazione. Se nell’intero 2022 non avevano raggiunto l’1%, nei primi nove mesi di quest’anno l’Istat segnala un +2,6%. C’è la necessità per i sindacati di rivendicare il recupero del potere di acquisto perduto con il boom dell’inflazione. A sua volta, però, questo atteggiamento può innescare una spirale negativa e protrarre gli aumenti dei prezzi più del necessario. La BCE monitora da mesi la situazione, specie in economie come la Germania, per evitare che attecchisca il circolo vizioso inflazione-salari-inflazione.

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