Prosegue la discesa dell’inflazione italiana, che nel mese di dicembre si è attestata allo 0,6% su base annua dallo 0,7% di novembre. Rispetto a novembre, l’indice dei prezzi al consumo al lordo dei tabacchi risulta aumentato dello 0,2% dal -0,5% accusato nel mese precedente. In calo anche l’inflazione “core”, al netto di generi alimentari e tabacchi, al 3,1% dal 3,4%. In base a questi dati preliminari, nell’intero 2023 il tasso d’inflazione sarebbe sceso al 5,7% dall’8,1% del 2022.

Petrolio e gas non più minacciosi

Fummo facili profeti quando scrivemmo che l’inflazione italiana avrebbe proseguito verosimilmente la discesa anche a dicembre per effetto del crollo dei prezzi di petrolio e gas.

Ed è stato così. Il Brent non riesce a superare stabilmente la soglia degli 80 dollari, restandovi sotto. Nel frattempo il cambio euro-dollaro si è portato a ridosso di 1,10, pur non riuscendo a starvi sopra con convinzione. E il gas resta sotto i 35 euro, la metà di un anno fa.

A novembre, l’inflazione italiana era risultata essere la seconda più bassa nell’Eurozona secondo l’indice armonizzato. Meglio aveva fatto solo il Belgio con -0,8%. Il mese scorso, invece, nessuno l’ha battuta al ribasso: 0,5% come il Belgio. Il tasso più alto si è registrato in Slovacchia al 6,6%, seguita da Austria al 5,7% e dalla Croazia al 5,4%. La Germania ha visto risalire la sua crescita tendenziale dei prezzi al 3,8% (dal 2,3%) e la Francia al 4,1% (dal 3,9%).

Inflazione italiana giù, competitività risale

Questi dati sono positivi, perché segnalano che la nostra economia stia rosicchiando competitività alle altre dell’area. Un’inflazione italiana più bassa segnalerebbe una crescita dei costi di produzione e dei prezzi dei prodotti esportati tendenzialmente minore. Nella fase acuta della crisi energetica, avevamo perso competitività a causa di tassi d’inflazione più alti rispetto alla media dell’area. Ora che il problema sembra perlopiù superato, siamo tornati al trend del decennio pre-bellico, quando i nostri prezzi avevano registrato una dinamica di crescita più lenta.

E ciò contribuì al boom delle esportazioni, con ripercussioni positive per la crescita economica.

Fin qui siamo alla buona notizia. C’è un possibile effetto collaterale, tuttavia, a cui dovremmo fare attenzione. L’inflazione italiana nettamente inferiore al dato medio per il 2,4% rischia di acuire le condizioni monetarie nella nostra economia. I tassi di interesse reali risultano già relativamente più alti che in paesi come la Germania. In altre parole, con la bassa inflazione di questi mesi avremmo bisogno di un costo del denaro inferiore, mentre non lo stesso dicasi per i nostri principali competitor europei.

Taglio dei tassi BCE, board più diviso?

La Banca Centrale Europea (BCE) difficilmente rivedrà i suoi piani dopo il dato di dicembre, largamente atteso. Il punto è che il suo board sarà affollato da governatori provenienti da paesi con tassi d’inflazione sopra la media. Sono ben dodici su venti. Di questi, quattro arrivano dalle prime cinque economie dell’area: Germania, Francia, Spagna e Olanda. Dunque, sono politicamente influenti. E ancora più numerosi i “falchi” alle prese con tassi d’inflazione persistentemente elevati nei rispettivi paesi.

Il taglio dei tassi arriverà probabilmente entro fine trimestre, ma la discussione a Francoforte rischia di rivelarsi meno liscia del previsto. L’inflazione italiana sarà assai bassa, ma ci sono economie in cui resta alta e i cui governatori centrali non smanieranno per abbassare il costo del denaro. Questa è una delle problematiche del “one size fits all” dell’Eurozona: gli stessi tassi di interesse devono andare bene a tutti, nonostante tra l’inflazione più alta e quella più bassa nell’area a dicembre vi fosse uno spread del 6,10%.

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