E’ arrivata una buona notizia dalla Germania, alla vigilia della diramazione del dato sull’inflazione nell’intera Eurozona. L’indice dei prezzi al consumo presso la prima economia dell’area è cresciuto del 4,5% a settembre, in brusco rallentamento dal +6,1% di agosto e leggermente sotto le attese del 4,6%. E’ il dato più basso dal febbraio 2022, cioè da quando è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina. Ai minimi da un anno anche il dato “core”, al netto di energia e generi alimentari: +4,6%.

Numeri incoraggianti, sebbene in Spagna l’inflazione questo mese sia balzata dal 2,6% al 3,5%.

Non resta che vedere l’andamento presso le altre principali economie, in primis Francia e Italia. Sta di fatto che l’inflazione in Germania sia scesa allo stesso livello dei tassi di interesse fissati dalla Banca Centrale Europea a metà mese. Non è una considerazione superflua. I tedeschi finalmente possono vantare tassi reali non negativi, sebbene i tassi di interesse riguardino il prossimo futuro, mentre l’inflazione tendenziale è calcolata come confronto con l’anno passato.

Inflazione Germania giù, ora occhio a tassi BCE

Sul piano psicologico, se il dato relativo all’intera Eurozona dovesse mostrarsi pari o inferiore al livello dei tassi, Francoforte avrebbe una giustificazione ufficiosa in più per arrestare la stretta monetaria. Si potrebbe concentrare sulla durata dei tassi attuali, anziché sulla necessità di continuare ad alzarli. Dunque, il 4,50% diventa un possibile spartiacque nell’attesa che il board si riunisca per la penultima volta quest’anno a fine ottobre. La riunione si terrà ad Atene, Grecia.

Nel frattempo, lo spread BTp-Bund si è portato a 200 punti base, ai valori massimi dallo scorso mese di marzo. Stavolta, il mercato teme che la stretta sui tassi, associata al rallentamento dell’economia italiana, possa frenare la discesa del nostro altissimo debito pubblico. Per l’anno prossimo il governo Meloni ha già alzato l’asticella del deficit al 4,3% del PIL dal 3,7% precedentemente atteso.

Servirà a liberare risorse da destinare al taglio del cuneo fiscale e della seconda aliquota Irpef. I rendimenti decennali sono saliti a ridosso del 5%, mai così alti dall’autunno del 2012.

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