L’inflazione negli USA a dicembre è salita al 7%, dato massimo dal 1982. La Federal Reserve in settimana ha preso atto dei forti rincari in corso e ha segnalato che si accinge a varare il primo rialzo dei tassi dalla pandemia. Con ogni probabilità, ci sarà già al board di marzo e nell’intero anno dovrebbero esservene tre, ma forse anche quattro. Una svolta monetaria che si rende necessaria per perseguire la stabilità dei prezzi, ma che rischia di impattare duramente sui mercati finanziari.

Ieri, Yardeni Research pubblicava una serie di grafici, dai quali emerge che il “margin debt” negli USA è salito a novembre a quasi 920 miliardi di dollari (918,6 miliardi), praticamente il doppio dei livelli da inizio pandemia. Parliamo dei debiti contratti dagli investitori per l’acquisto di titoli finanziari. Funziona così: chi vuole acquistare azioni o venderle allo scoperto, può decidere di farsi prestare un importo fino al 50% del necessario. Questo è il limite fissato dalle autorità americane.

Immaginate di voler acquistare 1.000 azioni della società Alpha a 1 dollaro ciascuno. Avrete bisogno di 1.000 dollari, ma anziché attingere del tutto alla vostra liquidità, potrete rivolgervi a un broker per farvi prestare la metà del denaro occorrente, cioè 500 dollari. Questi pretenderà da voi il pagamento di commissioni, in genere in funzione del periodo del finanziamento. Insomma, pagherete un tasso d’interesse vero e proprio. Le azioni in portafoglio grazie all’investimento a debito rappresenteranno per il broker la sua garanzia.

Le conseguenze sulle azioni del rialzo dei tassi

A questo punto, possono esistere due scenari: le azioni Alpha scendono; le azioni Alpha salgono. Se scendessero a 30 centesimi, il valore della garanzia crollerebbe a 300 dollari. Il broker rimarrebbe scoperto di 200 dollari e voi vi ritrovereste a dover scegliere tra versare la cifra in contanti o disinvestire vendendo i due terzi del pacchetto azionario. In sostanza, quando scatta il “margin call”, si corre il rischio che le vendite di titoli siano copiose proprio per rimpinguare la liquidità a favore dei creditori.

Nessun problema, invece, qualora le azioni salissero. Il valore della garanzia crescerebbe e il broker non potrebbe chiedere di meglio. Ora, il rialzo dei tassi minaccia questo business collaterale ai mercati. Prestare denaro diventa più costoso e gli investitori verosimilmente chiederanno sempre meno denaro per l’acquisto di titoli a debito. Ciò finirebbe per deprimere gli investimenti azionari, cioè le borse. Non solo. Il rialzo dei tassi tende a colpire i prezzi delle azioni, riducendo il valore attuale. Molti “margin call” rischiano di scattare, alimentando ulteriormente le vendite come in un classico circolo vizioso.

Il grafico della ricerca dimostra senza ombra di dubbio che vi sarebbe un forte legame tra investimenti a debito e corsi azionari degli indici americani. In pratica, i primi alimenterebbero i secondi e, forse, viceversa. Una stretta monetaria non farebbe bene a entrambi, ma sembra necessaria. Forse, consapevole di ciò, il governatore Jerome Powell ha voluto addolcire la pillola parlando al Senato, rassicurando sul mantenimento di tassi bassi a lungo. Come dire che stiamo uscendo da una fase iper-straordinaria per restare in una straordinaria. Ad oggi, i mercati tendono a credere alle banche centrali, probabilmente confidando che tecnologia, globalizzazione e invecchiamento demografico tornino a spingere i prezzi di beni e servizi al ribasso, frenando il rialzo dei tassi.

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