La prima settimana borsistica del nuovo anno non è stato affatto positiva. L’indice S&P 500 a Wall Street ha perso il 2,5%, oltre 1.000 miliardi di capitalizzazione. Alla base della falsa partenza vi è il crescente timore tra gli investitori circa l’inflazione presso le principali economie mondiali. Negli USA, il dato di dicembre è atteso al 7%, in ulteriore rialzo dal 6,8% di novembre. Nell’Eurozona è salito a sorpresa al 5%, record da quando esiste l’euro.

L’inflazione fa paura per diverse ragioni. E dire che le banche centrali abbiano assicurato, almeno fino a poche settimane fa, che si tratti di un fenomeno “transitorio”, salvo cambiare linguaggio alla Federal Reserve.

Adesso, Goldman Sachs prevede ben quattro rialzi dei tassi per quest’anno negli USA da 0,25% ciascuno. Ed ecco la ragione elementare per cui le borse mondiali vacillano.

Quando l’inflazione sale, le banche centrali sono costrette ad alzare i tassi d’interesse. In questo modo, incentivano il risparmio e disincentivano gli investimenti e i consumi. Dunque, “raffreddano” l’economia per centrare l’obiettivo della stabilità dei prezzi. Già viste così le cose, si capisce perché le borse ripiegano. Le aziende quotate vivono di consumi, per cui le loro azioni tendono ad apprezzarsi man mano che questi aumentano. Inoltre, sarà per loro più costoso investire prendendo a prestito denaro e ciò riduce i margini, qualora per via dell’elevata concorrenza, ormai globale, non riuscissero a scaricare l’aggravio sui prezzi finali. Ciliegina sulla torta: molti investimenti azionari stessi avvengono a debito, per cui se i tassi salgono, il loro ammontare si riduce.

Inflazione su, borse mondiali giù

Mettete anche che gli stessi salari stanno crescendo, in buona parte per via del “Great Resignation” di questi mesi. Milioni di lavoratori americani (e non solo) lasciano il posto di lavoro in cerca di migliori opportunità d’impiego e scontenti della perdita del potere d’acquisto, non sempre ancora compensata dall’aumento degli stipendi.

Una volta che questi crescono, l’inflazione diventa strutturale e la banca centrale deve agire per neutralizzarla.

Ma esiste anche una spiegazione tecnica per cui le borse mondiali stanno reagendo negativamente all’inflazione. Il prezzo delle azioni dipende dal loro valore attuale. Cosa significa? Immaginiamo che la società Alfa abbia chiuso l’esercizio 2021 con un utile di 1 milione di dollari e che in borsa capitalizzi 20 volte il suo utile, cioè 20 milioni. Il mercato deve valutare gli utili futuri per capire a quale prezzo comprare. Se questi rimanessero invariati a 1 milione di dollari all’anno – ignorando per semplicità di calcolo l’esistenza dell’inflazione – tuttavia, non avrebbero lo stesso valore tra dieci anni di 1 milione di dollari di utile per quest’anno.

In effetti, investendo in un asset privo di rischio come il Treasury, tra una decina di anni otterrei un capitale più alto grazie agli interessi. Dunque, se gli interessi salgono per via dell’inflazione, l’appeal delle azioni si riduce. E sta accadendo proprio questo, principalmente in America: i rendimenti reali sovrani stanno crescendo. Oggi, il decennale offre l’1,77% contro l’1,34% di cinque settimane fa. Immaginiamo di scontare l’utile della società Alfa per un tasso pari all’attuale rendimento decennale USA. Quello a dieci anni avrà un valore attuale di 839.077 dollari (1.000.000 / 1.0177^10). Ma poco più di un mese fa, esso era di 875.369 dollari (1.000.000 / 1,0134^10). In altre parole, l’inflazione costringe il mercato a pretendere rendimenti nominali più alti e la banca centrale ad alzare i tassi. In questo modo, il valore attualizzato delle azioni si riduce, per cui le borse tendono a deprimersi.

[email protected]