Se la notizia sarà confermata, avrà del clamoroso. Dopo settimane di scontro mediatico tra il governo di Giorgia Meloni e i vertici di Stellantis, secondo un’indiscrezione la famiglia Elkann-Agnelli starebbe valutando di riportare in Italia la sede legale di Ferrari N.V., il veicolo societario che controlla il cavallino rampante. Sul punto sarebbe intervenuta qualche interlocuzione con l’esecutivo a proposito del Ddl Capitali, in via di approvazione definitiva in Parlamento. La famiglia vorrebbe garantita la struttura di voto di cui gode in Olanda, paese che le consente di detenere il controllo assoluto della società, anche con un capitale minoritario.

Voto plurimo con Ddl Capitali

E il Ddl Capitali prevede proprio il voto plurimo a favore degli azionisti stabili fino a 10 voti per ciascuna azione detenuta. Ferrari è quotata in borsa sin dal gennaio del 2016 a Milano e Wall Street e da allora il prezzo del titolo a Piazza Affari è salito del 675%, portando la capitalizzazione a quasi 61 miliardi di euro. Exor, la holding di casa Elkann-Agnelli, detiene il 24,44% delle azioni ordinarie, mentre il Trust Pietro Ferrari un altro 10,39%. Insieme, i due principali soci arrivano a sfiorare il 35%. Tuttavia, superano il 51% in termini di diritti di voto, rispettivamente al 36,25% e 15,42%.

Ferrari chiuse l’esercizio del 2022 con un utile netto di 939 milioni su 5,1 miliardi di ricavi. Nei primi nove mesi del 2023, l’utile si era impennato del 34% a 963 milioni e i ricavi del 19% a 4,447 miliardi. Considerate che l’intera holding a capo delle partecipazioni familiari nel 2022 raggiunse un risultato consolidato di 4,2 miliardi e nel primo semestre dello scorso anno di 2,157 miliardi.

Scontro tra governo Meloni e Stellantis

Oggi come oggi, scalare Ferrari è nei fatti impossibile. Chi lo facesse, resterebbe un azionista di minoranza, cioè non otterrebbe mai il controllo in assemblea. Dunque, l’operazione non avrebbe alcun senso, perché non inciderebbe sulla governance.

Con il Ddl Capitali il governo Meloni punta ad arrestare la fuga delle società quotate verso l’Olanda e possibilmente a richiamare in patria qualcuna che già vi ha traslocato. Da premettere che Ferrari mantiene la sede fiscale in Italia, per cui paga le tasse al nostro Paese.

L’indiscrezione sta già assumendo una connotazione politica clamorosa. Anche in Parlamento, la premier ha difeso la sua posizione verso Stellantis, sostenendo che si sarebbe trasformata in una società francese e che la produzione di auto sul nostro territorio nazionale deve aumentare, anche ricorrendo ad un secondo produttore. Il caso ha creato uno scossone tra i partiti, con l’ex ministro Carlo Calenda ad avere accusato la sinistra e i sindacati di avere “coperto” mediaticamente la fuga dell’ex Fiat in Francia in cambio di una linea editoriale a loro favorevole del Gruppo Gedi di Exor, a cui fanno capo quotidiani come Repubblica La Stampa.

Caso Ferrari punto del governo verso le opposizioni

Se la controllante di Ferrari spostasse la sede legale in Italia, sarebbe uno smacco per le opposizioni, le quali sostengono che il Ddl Capitali allontanerebbe i capitali stranieri dalla nostra borsa. Starebbe avvenendo il contrario. E parliamo di uno marchi più potenti al mondo, la cui operazione di rientro avrebbe eventualmente riflessi d’immagine positivi per il sistema Italia. Effettivamente, la nuova normativa assegnerebbe un peso maggiore agli azionisti stabili e ridurrebbe il potere degli amministratori nei confronti del capitale in sede di rinnovo delle cariche.

Ma il dato saliente sarebbe, forse, un altro. Se Ferrari riportasse in Italia la sede legale, dimostrerebbe che l’atteggiamento non supino del governo verso gli Elkann abbia colto il punto. La maggioranza di centro-destra ha alzato la voce per reclamare pari dignità con la Francia. Certo, non sarebbe questo il risultato che ci aspetteremmo.

In ogni caso, si tratterebbe di un segnale distensivo di una delle principali famiglie del capitalismo industriale e finanziario italiano, da molto tempo più con la testa oltre le Alpi che a Torino. Se ne tratterebbe come conclusione l’inconcludenza delle attuali opposizioni quando governavano il Bel Paese.

[email protected]