In un’intervista al Corriere della Sera, il CEO di Ryanair torna a parlare di Alitalia e non risparmia critiche durissime contro la vecchia e nuova compagnia ITA. Michael O’Leary è così sprezzante, da definire la prima una “compagnia di m…a” (“shitty”). A suo avviso, sarebbe destinata a fallire anche Italia Trasporto Aereo. Troppo piccola per potere andare avanti, tanto da sostenere che non impensierirebbe affatto la low cost irlandese e di ritenere che nel medio termine non sarà in grado di tendere al pareggio o di maturare alcun utile.

Per questo, chiosa, sarà prima o poi venduta a Air France o Lufthansa, magari dopo l’ennesimo salvataggio pubblico.

Non sappiamo quanto sia sincero, ma O’Leary ha smentito alcun interesse di Ryanair per il marchio Alitalia. “Non sapremmo cosa farcene”, ha dichiarato. Tuttavia, ha confermato che darà battaglia sugli slot, vale a dire le fasce orarie liberate dalla compagnia e che non saranno ereditate da ITA. Il tema riguarda soprattutto gli scali di Milano Malpensa e Roma Fiumicino.

Europa e sindacati bestie tegole su Alitalia

Ryanair è già la prima compagnia aerea in Italia con 40 milioni di passeggeri all’anno trasportati. L’Italia incide, quindi, per il 27-28% dell’intera quota di mercato degli irlandesi in Europa. Prendersi anche una fetta di mercato liberata da Alitalia le consentirebbe di consolidare la propria posizione non solo nel Bel Paese, bensì pure nell’intero continente.

Per Alitalia-ITA, tuttavia, i problemi non stanno arrivando al momento da Dublino. Da ieri sera si è diffusa l’indiscrezione che la Commissione europea chiederà al governo italiano di recuperare da Alitalia i 900 milioni di euro del prestito-ponte, definiti “aiuti di stato”. Denaro arrivato nelle casse della compagnia nel 2017 e su cui non sono stati pagati sostanzialmente neppure gli interessi, a seguito di un’apposita norma varata nel 2018.

Alitalia non detiene tale liquidità in cassa, anzi va avanti ancora oggi grazie al sostegno dello stato. Una grana, che rischia di pesare sul decollo della stessa ITA, nel caso in cui l’Europa si mettesse di traverso nella delicata fase di transizione.

Infine, c’è la rottura del negoziato tra azienda e sindacati. I secondi chiedono che sia attivata la richiesta di cassa integrazione a zero ore per tutti i 7.500 lavoratori che non saranno assunti immediatamente da ITA con il piano valido fino al 2025. Un’ipotesi, che graverebbe sui conti pubblici per altri 2 miliardi di euro. E dopo averne già spesi una decina da 50 anni a questa parte, è lo stesso stato a nicchiare. Troppo elevato il costo per una società che non produce utili ormai da decenni.

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