Chissà come verrà ricordato questo millennio in Italia quando si sarà concluso? Di sicuro, non è iniziato col piede giusto, almeno guardando ai dati della nostra economia. La parola “declino” è entrata nel vocabolario di uso comune dell’italiano medio da almeno un quindicennio, e non a caso. A volte, la percezione fa a pugni con le statistiche, altre ne è la diretta conseguenza. Nel grafico di sotto, abbiamo riportato le variazioni del pil dall’inizio del 2000 alla fine del 2017 nelle principali quattro economie dell’Eurozona: Italia, Germania, Francia e Spagna.

Come notiamo, il nostro prodotto interno lordo è stato quello ad essere cresciuto meno di tutti gli altri, di appena il 6,5% reale in 18 anni contro una media dell’area di quasi il 26%. La Spagna, che fino al 2007 ha vissuto il suo boom economico, ha registrato nell’intero periodo un aumento di oltre il 38%, 10 punti più che in Germania e Francia.

Il declino economico dell’Italia con la politica come l’orchestra sul Titanic 

Quando si passa al dato pro-capite, ossia al pil per ciascun residente, le variazioni al netto dell’inflazione ci confermano non soltanto soccombere nei confronti di tutte le altre grandi economie indicate, ma persino indietreggiare. Da inizio millennio fino al 31 dicembre scorso, infatti, ciascun italiano risulta avere perduto il 2,4%, mentre un tedesco medio ha guadagnato il 25,5%, il doppio di uno spagnolo e ancora di più rispetto a un francese (+11,8%). La media nell’area è stata di un pallido +1,2%, a conferma che se l’Italia ha compiuto passi indietro, nell’insieme l’Eurozona non ne ha fatti in avanti.

Una delle cause della bassa crescita è la scarsa competitività di un’economia, che può misurarsi come il differenziale (positivo) d’inflazione rispetto alle altre principali economie con cui commercia, in quanto un aumento dei prezzi interni superiori a quelli registrati all’estero tende a indebolirne le esportazioni.

Come ha evidenziato il grafico precedente, l’Italia di competitività ne ha persa contro la Germania, se è vero che nel periodo considerato abbiamo accumulato un’inflazione di quasi 17 punti percentuali più alta che in Germania (47,2% contro 30,4%). Per quanto la tendenza si sia invertita negli ultimissimi anni, restringendo lo sguardo al decennio passato (2008-2017), continuiamo a registrare una crescita dei prezzi di poco superiore a quella tedesca (16,3% contro 15,8%). Al contrario, la Francia ha recuperato competitività dal 2008 contro le imprese tedesche, mentre da allora la media dell’Eurozona ha coinciso perfettamente con quella della sua locomotiva. La Spagna, che in 18 anni ha accumulato una crescita dei prezzi di circa 27,5 punti percentuali più che in Germania, sta convergendo nell’ultimo decennio, pur esitando nel complesso un differenziale ancora a sé sfavorevole.

Da queste variazioni ne consegue quanto segue: l’Italia ha ridotto il suo peso rispetto all’economia dell’area tra la fine degli anni Novanta e oggi, passando dal 18,2% al 15,4%. La stessa Germania è scesa dal 31,1% al 29,2%, ma non fatevi ingannare, perché trattasi della semplice conseguenza di un’inflazione salita nell’Eurozona di oltre 17 punti percentuali in più di quella tedesca, per cui il pil nominale della prima risulta essersi “gonfiato” nominalmente in misura superiore. Analogo il discorso per la Francia, il cui peso arretra dal 21,7% del 2000 al 20,5% del 2017, ma in termini reali risulterebbe di poco lievitato. Al contrario, la Spagna deve la sua salita dal 9,5% al 10,4% sostanzialmente proprio alla maggiore inflazione, oltre che alla maggiore crescita del pil.

             

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