A fine aprile, il debito pubblico italiano risultava salito a 2.467,1 miliardi, in crescita di 57,2 miliardi quest’anno. E il Tesoro ha comunicato l’altro ieri, che le emissioni di titoli di stato fino ad oggi sono state pari a 302 miliardi, in crescita del 42% su base annua, dato che nello stesso periodo del 2019 avevano ammontato a 213 miliardi. Di questi, il 68% sono titoli a medio-lungo termine, cioè di durata superiore ai 12 mesi. La buona notizia è che questo boom non sta sinora coincidendo con un aumento del costo medio del debito, anzi.

Il rendimento medio lordo all’emissione è stato dello 0,79%, in calo dallo 0,93% dell’intero 2019.

Il costo della sfiducia nell’Italia: 900 miliardi di maggiore debito pubblico in 20 anni

In valori assoluti, gli interessi che noi contribuenti dovremo pagare sui debiti emessi quest’anno saranno 2,4 miliardi. Si tenga conto che l’anno scorso la spesa complessiva per interessi è stata di 61,3 miliardi, pari al 2,5% del valore dello stock. Questo significa che stiamo continuando a indebitarci a costi nettamente inferiori a quelli medi del passato. Se rinnovassimo tutto il debito al 31 dicembre scorso agli stessi costi di quest’anno, la spesa scenderebbe a meno di una ventina di miliardi, facendoci risparmiare oltre 40 miliardi e consentendoci, addirittura, di chiudere il bilancio in attivo, grazie a un saldo primario tendenzialmente superiore, al netto chiaramente dell’impatto sui conti pubblici provocato dalla crisi.

Quanto accade è il frutto di un indebitamento a rendimenti più bassi di quelli sostenuti negli anni passati, specie prima del varo del “quantitative easing” nel 2015. La BCE sta acquistando titoli di stato e altri assets nell’Eurozona, potenziando dal marzo scorso i programmi monetari con interventi straordinari, ad oggi complessivamente pari a 1.470 miliardi, i quali si affiancano ai 20 miliardi mensili del QE ordinario. Di fatto, l’istituto sembra in grado di assorbire totalmente o quasi le emissioni sovrane nette attese per quest’anno nell’area.

In concreto, i governi s’indebitano, raccogliendo molti più capitali dello scorso anno sui mercati, ma confidando su Francoforte, che indirettamente finanzia i loro poderosi stimoli fiscali.

Vita media del debito non in calo

Non sappiamo se questa tendenza positiva durerà almeno per tutto il resto dell’anno, anche perché le emissioni in programma da qui ai prossimi sei mesi sono elevatissime, stimabili in almeno altri 250 miliardi, a seconda della gravità della crisi fiscale in corso e della possibilità/volontà di accedere agli aiuti/prestiti europei, tra MES e Recovery Fund. Ma quasi certamente, a meno che nella media dell’intero 2020 non si registri un’esplosione dei costi sopra il 2,5%, anche quest’anno beneficeremo di un calo della spesa per interessi, che sarà tanto più marcato, quanto più alta si rivelerà la differenza tra i rendimenti dei titoli scaduti e quelli dei titoli di nuova emissione. Per fare un esempio, se rimborsiamo un BTp con cedola 5% con uno con cedola 1%, chiaramente ci ritroveremo a sborsare per i prossimi anni un 4% in meno.

Debito pubblico italiano e quel muro in autunno da 200 miliardi

La vera buona notizia rimarcata dal Tesoro è che non starebbe venendo meno la solidità del nostro debito, cioè l’abbassamento dei rendimenti medi non è conseguenziale all’emissione di titoli dalle scadenze più brevi. E questo è importante per allontanare il più possibile lo spettro di un rialzo repentino dei costi nei prossimi anni, quando verosimilmente il costo del denaro salirà e rinnovare il debito diverrà per tutti almeno un po’ più caro. Certo, non stiamo approfittandone – né siamo in grado al momento di farlo – per allungare le scadenze medie, un’operazione che all’impatto avrebbe come costo i minori risparmi sul fronte della spesa per interessi. Parliamo da mesi di BTp irredimibili, perpetui, senza scadenza o “di guerra”, ma ad oggi non sembra vi siano condizioni di mercato idonee per ipotizzare emissioni corpose a costi accettabili e compatibili con una spesa per interessi calante come da previsioni.

Con uno spread in linea con quelli di Spagna e Portogallo, potremmo permetterci anche l’ulteriore consolidamento dello stock.

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