L’allarme è scattato già diverso tempo fa e gli ultimi numeri messi a disposizione dal Tesoro degli Stati Uniti lo amplificano: il debito nazionale è salito sopra 34.000 miliardi di dollari. Considerate che, stando alle stime, il PIL nel 2023 dovrebbe essersi attestato intorno ai 27.000 miliardi. Pur in calo dall’oltre il 129% del 2022, il rapporto tra le due grandezze resta elevatissimo e certamente era impensabile fino a pochi anni fa che arrivasse a questi livelli. In effetti, è la dinamica del debito negli Stati Uniti a preoccupare.

Tende a cresce a ritmi molto sostenuti anche nei periodi di crescita dell’economia.

Vi basti pensare che in 3 mesi ha messo a segno un aumento di 1.000 miliardi, in 6 mesi di 2.000 miliardi, in 2 anni di 4.000 miliardi e in 4 anni di 11.000 miliardi. Per non parlare del confronto con quindici anni fa, quando la prima economia mondiale si accingeva ad uscire dalla crisi finanziaria scatenata dal crac di Lehman Brothers: +23.400 miliardi.

Debito/PIL atteso in continua ascesa

Se il debito negli Stati Uniti s’impenna, altrettanto fa la spesa per interessi. Era stata di “soli” 475 miliardi nel 2022, mentre nel 2023 risultava già salita a 1.050 miliardi. E l’Ufficio Bilancio del Congresso la stima a 1.400 miliardi entro il 2032, nonché a 5.400 miliardi al 2053, anno in cui il rapporto debito/PIL esploderebbe al 181%. Non sono esattamente i numeri che vorresti leggere a proposito della superpotenza. Ci dicono che di recente essa abbia prodotto più debito che ricchezza.

Prendete il terzo trimestre. Il PIL è aumentato di un ottimo 4,9% reale tendenziale, pari a 574,1 miliardi di dollari nominali. Nello stesso periodo, il deficit statale è stato di 621,5 miliardi. In pratica, anche quando l’economia sembra andare a gonfie vele il debito negli Stati Uniti sale vertiginosamente. Analisti e investitori iniziano a chiedersi cosa accadrà quando arriverà una recessione. A quel punto, di quanto il debito s’impennerà? E poiché siamo in un’annata elettorale, non possiamo certo confidare in un taglio del disavanzo fiscale.

L’amministrazione Biden, già impopolarissima e a rischio rielezione, non effettuerà alcun taglio alla spesa, né un aumento delle entrate.

Taglio dei tassi per abbassare spesa interessi

Per fortuna dovrebbe pensarci la Federal Reserve ad alleggerire la spesa per interessi sin dal prossimo futuro con il taglio dei tassi di interesse. Ma la tendenza rimarrà allarmante, se pensate che nel 2007, prima che l’istituto varasse stimoli monetari senza precedenti contro la crisi, questa voce di bilancio arrivò ad assorbire l’allora livello record di 450 miliardi di dollari, meno della metà di quanto pagato già l’anno scorso. A conti fatti, ancora Washington paga in media il 3% sul suo debito, mentre i rendimenti sovrani nei mesi scorsi sono schizzati fin sopra il 5%.

Un aspetto temuto riguarda la scarsa durata media del debito negli Stati Uniti. Se in Italia si parla sempre di allungare le scadenze, Zio Sam non ha sinora avvertito la stessa esigenza. Tuttavia, in appena dodici mesi arriveranno a scadenza titoli per 7.600 miliardi, il 31% del totale. Ciò spiega anche perché la spesa per interessi sia salita tutta d’un colpo assieme all’aumento dei tassi. E fa anche capire quanto sia importante per il bilancio federale ottenere il primo taglio dei tassi quanto prima.

Debito Stati Uniti tra spese e tagli alle tasse senza coperture

Comunque li si leggano, questi dati rabbrividiscono. Nel 2023, il governo federale ha registrato entrate per 4.440 miliardi e spese per 6.130 miliardi. In pratica, ha fatto nuovo debito per quasi 1.700 miliardi. La spesa per interessi incide, quindi, per quasi un quarto delle entrate federali e un quinto delle spese complessive. Le sceneggiate tra Congresso e Casa Bianca per evitare lo “shutdown” ogni due e tre sono solo la parte teatrale di un problema reale.

Abbiamo da un lato una sinistra che vuole spendere in deficit e una destra che vuole tagliare le tasse senza coperture. Il risultato è che chiunque vinca le elezioni ogni quattro anni, il debito negli Stati Uniti non potrà che salire.

Se l’austerità fiscale è diventata un’ossessione nell’Eurozona, a Washington l’aria che tira ormai da una quindicina di anni è di lassismo quasi sfrenato. La superpotenza crede di poter sfuggire eternamente alle leggi dell’economia, di poter continuare a indebitarsi non pagandone il costo. Rischia un brusco risveglio forse prima di quanto preventivato dalla parte più avvertita della società. La nascita di un mondo multipolare rende meno sicuro lo status a lungo termine del dollaro e con esso il “privilegio esorbitante” che comporta stamparlo.

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