A dicembre, l’indice dei prezzi al consumo nell’Eurozona è risultato negativo dello 0,3% su base annua per il quinto mese consecutivo. In Italia, lo è stato per l’ottavo mese di fila. Di fatto, l’unione monetaria è caduta in deflazione. A provocarla è stato il crollo dei consumi, seguito alla pandemia. In tutto il mondo avanzato si registra un boom di risparmi (si vedano i depositi bancari), in parte per l’impossibilità delle famiglie di spendere a causa dei “lockdown”, in parte anche per via della minore propensione al consumo e agli investimenti, data la prudenza verso il futuro.

Di certo, il riflesso principale di questo scenario lo si è avuto sul mercato del petrolio. Il 2020 apriva con un barile di Brent a 66 dollari e si è chiuso a meno di 52 dollari. Il calo è stato superiore al 21%, ma questi due soli dati nulla ci raccontano di quanto effettivamente sia avvenuto durante lo scorso anno. In aprile, a poche settimane dalla diffusione della pandemia in Europa, le quotazioni crollarono fino a un minimo di poco superiore ai 16 dollari, mai così basse da oltre 20 anni. Peggio andò al WTI americano, sprofondato a quasi -40 dollari, un fenomeno allucinante, dato che mai nel mondo un bene fisico era stato scambiato a prezzi negativi.

Ma non solo il petrolio è costato meno con il Covid; il dollaro, che è la valuta con cui lo si compra sui mercati internazionali, si è anche indebolito contro l’euro. Di quanto? Considerando che il cambio tra le due divise apriva l’anno a circa 1,1150 e chiudeva in area 1,22, il rialzo è stato di quasi il 10%. Facendo la media delle quotazioni nell’intero 2020, abbiamo che il Brent si è acquistato a circa 43,20 dollari al barile e il cambio euro-dollaro si è attestato a 1,1418. Nella nostra valuta, un barile ci è costato meno di 38 euro.

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Cosa accade al petrolio

A inizio mese, l’OPEC Plus ha raggiunto un accordo sull’offerta di petrolio.

Anzi, l’Arabia Saudita ha unilateralmente scelto di sostenere i prezzi sui mercati, tagliando la propria produzione di 1 milione di barili al giorno per i prossimi mesi di febbraio e marzo e consentendo alla Russia di alzare un po’ la propria quota. Grazie all’annuncio, le quotazioni del Brent sono salite in area 55 dollari. Se restassero così per tutto l’anno, a fronte di un cambio euro-dollaro sopra 1,22, il costo medio di un barile salirebbe a 45/46 euro, il 20% in più rispetto allo scorso anno. Rispetto ai livelli pre-Covid, il greggio rimarrebbe di circa il 30% meno caro tra effetto cambio e quotazioni solo in parziale ripresa.

Chiaramente, l’evoluzione dei prezzi dipenderà dalla capacità dell’economia globale, Eurozona in testa, di uscire dalla crisi. Un ritorno ai livelli pre-Covid è escluso fino ad almeno alla fine dell’anno prossimo. Tuttavia, se i “lockdown” attualmente imposti in vari stati, tra cui la Germania, dovessero impattare negativamente anche sui dati del primo trimestre, i ritmi con cui il PIL si risolleverà risulteranno ancora più lenti, trasferendosi sui consumi e affliggendo i prezzi delle materie prime. Di pari passo, però, bisognerà seguire con attenzione i numeri delle vaccinazioni. L’avvio non appare esaltante quasi da nessuna parte, perché con questa velocità servirebbero almeno due anni per poter dichiarare vittoria contro la pandemia. Un’accelerazione è attesa dai prossimi mesi, quando arriveranno maggiori dosi del vaccino Pfizer-BioNTech e quelle degli altri vaccini autorizzati dall’EMA, con Moderna ad avere già ottenuto il via libera e AstraZeneca in procinto di riceverlo a fine mese. Solo così, l’ottimismo sui mercati spingerebbe in alto le quotazioni delle “commodities”, mentre l’allentamento delle restrizioni risolleverebbe i consumi.

E serviranno entrambi per fare uscire l’Eurozona dalla deflazione.

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