Ieri, il Bitcoin continuava a sostare sopra i 23.000 dollari, avendo toccato il massimo storico di 23.700 dollari nella giornata di giovedì. Quest’anno, la “criptovaluta” più popolare al mondo guadagna oltre il 220% ed è arrivata a una capitalizzazione di mercato sopra i 430 miliardi. Vi abbiamo spiegato che il boom delle quotazioni sarebbe da ricondurre alla discesa in campo di un numero crescente di investitori istituzionali, i quali stanno cercando di sfruttare le potenzialità di questo asset per potenziare i rispettivi guadagni. PayPal ha annunciato che accetta i Bitcoin come metodo di pagamento, così come realtà del livello di MicroStrategy e Square hanno investito parte dei loro capitali nella moneta digitale.

Prezzo dei Bitcoin sopra 20.000 dollari e stavolta a puntarci sono i big della finanza

Un aspetto meno conosciuto dai non addetti ai lavori riguarda le modalità di emissione dei Bitcoin, che starebbero contribuendo in misura determinante all’esplosione dei prezzi. Questa moneta digitale non viene emessa da un sistema centralizzato, né in quantità infinite. Essa viene “estratta” da chiunque lo voglia e abbia competenze informatiche rilevanti. Chi riesce a produrre un Bitcoin, rendendolo così disponibile sul mercato, viene remunerato con una certa quantità del Bitcoin stesso. In un certo senso, la remunerazione equivale ad inflazionare la “criptovaluta”, in quanto ne aumenta la quantità offerta.

Halving come metodo deflattivo

Stando all’algoritmo inventato nel 2009 per dar vita ai Bitcoin, dopo ogni 210.000 blocchi estratti, la remunerazione si dimezza. Questo avviene grosso modo ogni quattro anni. Ad esempio, fino al 28 novembre 2012 era pari a 50 Bitcoin per blocco, da quella data e fino al 9 luglio 2016 scese a 25 Bitcoin, da allora fino all’11 maggio 2020 è stata di 12,50 Bitcoin e adesso è di 6,25. Questo significa che i Bitcoin a ogni dimezzamento o “halving” tendono ad aumentare in circolazione in misura minore. E cos’è accaduto a ogni data in cui è scattato tale dimezzamento della remunerazione? Il valore dei Bitcoin è schizzato nei mesi seguenti.

Dal novembre 2012 al novembre 2013, ad esempio, è esploso da circa 12 a 1.000 dollari. Dal luglio 2016 fino al dicembre 2017, è triplicato da 655 a oltre 19.000 dollari. Infine, dal maggio scorso ad oggi è nuovamente triplicato da 8.800 a oltre 23.000 dollari.

Il prossimo “halving” è atteso nei primi mesi del 2024, quando la remunerazione scenderà a 3,125 Bitcoin per blocco. Dovremmo attenderci un nuovo boom dei prezzi sulla base dell’andamento passato, sebbene non possiamo escludere che da qui ad allora le quotazioni crollino come fecero dopo il penultimo record di fine 2017. Ad oggi, esistono in circolazione 18,56 milioni di Bitcoin e il massimo a cui potranno giungere saranno 21 milioni. Proprio questa limitazione già nota sin dalla nascita di questa moneta la rende tendenzialmente deflattiva. Man mano che la domanda cresce, cioè, l’offerta non può adeguarsi come accade con una qualsiasi moneta fiat. Lo stesso oro, pur essendo disponibile in quantità limitata, ogni anno viene estratto dalle miniere senza che nessuno possa conoscerne a priori le nuove tonnellate. In teoria, la qualsiasi scoperta di un maxi-giacimento avrebbe la conseguenza di deprimere le valutazioni future.

Ora, dire che il Bitcoin sia diventato un “safe asset” sarebbe poco serio. Ad oggi, il principale limite è stata l’eccessiva volatilità dei prezzi, frutto di una estrema concentrazione dell’offerta in pochissime mani. Proprio la diffusione tra gli investitori istituzionali, però, rende interessanti le prospettive per questo nuovo mezzo di pagamento, in quanto non possiamo escludere che la stabilizzazione dei corsi lo renda una riserva di valore nel tempo. In fondo, se così è, trattasi di una fuga dagli assets tradizionali, “gonfiati” dalle stamperie delle banche centrali. Il mercato starebbe mettendosi alla ricerca di un asset non controllabile da governi e governatori.

C’è un legame tra i bond e i Bitcoin tornati ai massimi storici?

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