La crisi economica inizia a mordere e al board del 12 marzo scorso, la BCE ha messo le mani avanti, allentando la morsa sulle banche dell’Eurozona. Saranno temporaneamente sospesi i requisiti del cosiddetto Pilastro 2, con il rinvio anche degli stress test, i cui risultati sarebbero dovuti essere pubblicati a luglio. In parole povere, Francoforte punta a favorire il credito ad imprese e famiglie, riducendo la pressione sugli istituto con riguardo alla necessità di accantonare capitale a copertura delle possibili perdite.

A queste misure si aggiungono le aste T-Ltro, i cui requisiti per accedere ai finanziamenti mirati biennali sono stati ulteriormente ammorbiditi e resi iper-convenienti, così come sono state annunciate nuove aste Ltro per l’erogazione di prestiti a lungo termine e sempre a condizioni agevolate.

Prendendo spunto anche dagli errori commessi con la crisi finanziaria del 2008, l’obiettivo della BCE consiste nell’evitare il “credit crunch”, la caduta del credito a favore dell’economia reale, che metterebbe davvero in ginocchio l’unione monetaria. Per contro, allentare i requisiti sulla robustezza patrimoniale delle banche in piena crisi comporta un altro rischio, cioè quello che il capitale venga intaccato dalle perdite, man mano che i clienti non saranno in grado di onorare le scadenze. Solo un esempio: alla fine del 2007, prima che esplodesse la crisi dei mutui “subprime” negli USA, i crediti deteriorati in Italia ammontavano al 4,5% del totale erogato, mentre negli anni seguenti arrivano all’apice del 20%. Già nel 2012, ad esempio, a fronte di un pil reale diminuito del 7%, il dato risultava triplicato.

Se è vero che il pil quest’anno sia destinato a crollare di almeno un decimo e con previsioni finanche più severe, difficile non immaginare che i crediti deteriorati non aumentino, quando già oggi in Italia ammontano a una percentuale quasi tripla rispetto alla media europea, cioè all’incirca dell’8,5% contro il 3%.

Questo sarebbe un grosso problema per il sistema bancario nazionale, già provato da un decennio trascorso a rafforzare il capitale da un lato e ad affrontare l’emergenza Npl dall’altro, mentre il saliscendi dei BTp ha a tratti intaccato le valutazioni di borsa dei titoli, che nella maggior parte dei casi sono scese a meno della metà del patrimonio netto.

Clausole di Azione Collettiva “single-limb”, perché sui BTp le banche tremano

Ricordiamoci del “bail-in”

Flessibilità contro sicurezza, insomma. La prima servirà per sostenere l’economia da una possibile crisi di liquidità, con conseguenze disastrose per la tenuta finanziaria e finanche sociale; la seconda risulta indispensabile per garantire azionisti, obbligazionisti e risparmiatori. In questa fase, le due esigenze si scontrano violentemente, anche perché dal 2016 è in vigore in Italia il cosiddetto “bail-in”, la disciplina bancaria che regolamenta i salvataggi, minimizzando i rischi a carico dei contribuenti, coinvolgendo azionisti, obbligazionisti e, in ultima istanza, persino i correntisti nelle perdite.

Negli anni, si sono succeduti numerosi salvataggi pubblici, con applicazione solo parziale del “bail-in”, al fine di minimizzare l’impatto sul risparmio. I casi più dolorosi si sono avuti con il crac di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti, ma non è stato da meno qualche tempo dopo MPS, successivo a Popolare di Vicenza e Veneto Banca. E cosa accadrebbe se altre banche registrassero un’impennata di crediti a rischio per effetto della crisi? E quant’è probabile che ciò accada?

Quali rischi per le banche italiane?

Partiamo dalla seconda domanda. La crisi che sta colpendo l’Eurozona supererebbe di entità quella già molto grave del 2008-’09, anche se probabilmente il recupero per molti stati sarà più veloce, trattandosi di un’implosione del pil provocata da un’emergenza sanitaria, non da uno shock di natura finanziaria o economica. E rispetto a 12 anni fa, banche centrali e governi stanno intervenendo più tempestivamente e con stimoli ben più robusti per limitare i danni.

Ciò non toglie, tuttavia, che l’Italia si stia presentando già molto debole all’appuntamento, con misure contenute per non gravare più di tanto sui conti pubblici e con previsioni di minore rimbalzo del pil nel 2021. Insomma, da noi la crisi sarà più grave e durerà più a lungo.

Perché le banche in borsa, non solo in Italia, sono le più colpite dei crolli

Se la catena dei pagamenti s’interrompesse per il crollo del fatturato ad impedire il rispetto delle scadenze, con riflessi a cascata e ai danni anche delle banche, sarebbero dolori. Gli NPL tornerebbero a salire, quando già è stato molto difficile negli anni tagliarli, comportando svalutazioni a carico dei bilanci molto pesanti e tali da aver richiesto numerose ricapitalizzazioni, a discapito degli azionisti, ma anche degli obbligazionisti, visto il taglio necessariamente imposto nei casi più critici ai bond senior e alle conversioni dei subordinati. Pensate solamente che tra il 2015 e il 2019, dei 198 miliardi di crediti ceduti dalle banche ad apposite istituzioni finanziarie e perlopiù avvalendosi della GACS, la garanzia statale, soltanto pochi miliardi sono stati ad oggi effettivamente recuperati, in totale 14 tra riscossioni effettive e cancellazioni per l’impossibilità di provvedere ai recuperi.

Risparmi al sicuro?

Questi dati ci segnalano quanto sia difficile tornare in possesso di un credito anche a forte sconto per il cliente ceduto, a dimostrazione della situazione economica complicata ancor prima dell’arrivo di questa crisi. Ma il boom probabile degli NPL, dicevamo, mette a rischio il capitale delle stesse banche, cioè azioni e obbligazioni da un lato, a partire da quelle subordinate, fino ad arrivare ai conti correnti sopra 100.000 euro. Corriamo seriamente il rischio di veder defalcati i nostri risparmi per ripianare le perdite?

Crediti deteriorati (NPL), il fardello da centinaia di miliardi sui conti delle banche italiane

La disciplina del “bail-in” si mostra flessibile proprio per una fase come questa, laddove offre allo stato la possibilità di salvare una banca con denari pubblici, al fine di evitare che il coinvolgimento del risparmio privato nelle perdite comporti rischi di destabilizzazione finanziaria per il sistema Paese.

E se già non è è difficile argomentare che ciò possa accadere in una situazione ordinaria, figuratevi in una congiuntura così difficile come l’attuale, in cui l’intero Occidente si batte per evitare un tracollo dagli effetti economici depressivi e di lungo periodo.

Detto questo, bisogna fare più attenzione che mai a scegliere le banche in cui accendere un conto corrente/deposito, magari guardando solamente al tasso d’interesse offerto e ancora di più ad acquistare obbligazioni senior (quelle subordinate sono da anni precluse al canale retail), attratti dal rendimento allettante in tempi di vacche magre. Se è vero che nessun governo vorrebbe stangare i privati, mettendo a rischio la tenuta del sistema bancario-finanziario, oltre al proprio consenso, d’altra parte è indubbio che i soldi per salvare tutti non ci sarebbero, specie dopo questa crisi, che farà esplodere deficit e debito pubblico, restringendo ancora di più i nostri margini di manovra dei conti pubblici.

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