Dai numeri dell’ultimo rapporto mensile dell’Abi, scopriamo che i depositi in banca in Italia risultano essere diminuiti nel mese di agosto, quando sono scesi di quasi 6 miliardi rispetto a luglio a 2.011,9 miliardi di euro. Il segno resta positivo su base annua (+6%, +114,1 miliardi), ma è un dato di fatto che i risparmi degli italiani segnalino una discesa per la prima volta in nove mesi. Il precedente calo su base mensile risaliva, infatti, al novembre 2020, quando era stato di 13,6 miliardi.

Tuttavia, in quell’occasione potrebbe avere inciso il calendario delle scadenze fiscali, peraltro rinviate a causa della pandemia dalla prima metà dell’anno.

Come dovremmo interpretare questa apparente inversione di tendenza? Dobbiamo premettere che dall’inizio della pandemia, i risparmi italiani in banca sono cresciuti di oltre 200 miliardi. Frutto certamente del crollo dei consumi, provocato dalle restrizioni anti-Covid.

In un certo senso, che prima o poi questo trend dovesse cessare era scontato. Non sappiamo se stia già avvenendo o se il mese di agosto sia stato un falso allarme in tal senso, ma da questo punto di vista andrebbe percepito come un fatto positivo. In fondo, sarebbe un forte indizio del ritorno graduale alla normalità. In realtà, il calo dei risparmi italiani in banca potrebbe avere altre cause, per così dire negative. Proprio in estate, l’inflazione ha centrato il target BCE in Italia, superandolo nettamente nell’Eurozona. Da noi è salita al 2%, nel resto dell’area al 3%. In Germania, sfiora il 4%.

Risparmi italiani alle prese con l’inflazione

L’inflazione è una classica tassa sui risparmi non investiti. Se tieni in banca 10.000 euro infruttiferi per un anno e nel frattempo la perdita del potere di acquisto è stata del 5%, dopo dodici mesi ti ritroverai a possedere un capitale dal valore reale di 9.500 euro. Insomma, hai buttato nel cestino dell’immondizia 500 euro. In Italia, i conti bancari scoppiano, ma i tassi d’interesse su di essi offerti dagli istituti rasentano mediamente lo zero.

Persino le obbligazioni bancarie offrono meno dell’inflazione, la media dell’1,79% ad agosto sui 212 miliardi investiti. I restanti 1.800 miliardi rendono la miseria dello 0,27% tra conti correnti, conti deposito e pronti contro termine.

Finché l’inflazione in Italia era rimasta bassissima e oltretutto una prospettiva remota, anche i depositi del tutto infruttiferi o quasi sono stati un’opzione per i risparmiatori. Adesso, iniziano a non esserlo più. Di fatto, con un’inflazione al 2% e un tasso medio offerto così basso, questi 1.800 miliardi parcheggiati in banca stanno svalutandosi al ritmo di oltre 30 miliardi all’anno in termini di potere d’acquisto. E se l’inflazione dovesse ulteriormente accelerare, l’appeal dei conti bancari si azzererebbe definitivamente. Che fine faranno i minori risparmi italiani? In parte, alimenteranno la ripresa dei consumi, per il resto si tradurranno in investimenti di altra natura, finanziari e immobiliari.

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