Ad agosto, l’inflazione è salita al 2% in Italia, un po’ meno del 2,1% indicato dall’ISTAT nelle stime preliminari. Nell’Eurozona, invece, ha toccato il 3%. In Germania, è arrivata al 3,9%. Questi numeri probabilmente non ci diranno nulla, ma sul piano storico appaiono sorprendenti. Per decenni, era stata l’economia italiana alle prese con l’alta inflazione. E parliamo di lunghi periodi con crescita dei prezzi a due cifre. Quegli anni furono esiziali per il nostro futuro: perdita di competitività, crollo della lira e boom del debito pubblico.

Nel decennio che va dal 2011 al 2020, però, le cose sono cambiate. L’Italia ha accumulato un’inflazione del 10,5%, inferiore al 13,4% della Germania. Differenze poco rilevanti se spalmante lungo 10 anni, ma già un segnale. Di fatto, abbiamo iniziato a rosicchiare competitività all’economia tedesca. I nostri prezzi crescono più lentamente di quelli fissati dalle imprese in Germania, per cui tendono a conquistare fette di mercato, in assenza di variazioni dei tassi di cambio all’interno dell’Eurozona.

I risultati non hanno tardato ad arrivare. La bilancia commerciale nel periodo considerato è stata mediamente in attivo per il 2,35% del PIL. Le esportazioni hanno dato una mano all’economia italiana, altrimenti in forte affanno a causa della bassa domanda interna. Certo, buona parte del successo lo si deve proprio alla crisi seguita al 2008-’09, che ha tagliato i consumi e gli stessi investimenti, riducendo le importazioni. La stessa bassa inflazione è conseguenza di questo andamento negativo. Il PIL reale a fine 2019 risultava del 4% inferiore ai livelli del 2007. In buona parte, poi, siamo stati beneficiati dalle basse quotazioni del petrolio, data la nostra storica elevata dipendenza dalla materia prima.

Cosa c’è dietro alla bassa inflazione italiana

Né dobbiamo entusiasmarci per così poco. Nel decennio 2001-2010, ad esempio, l’Italia aveva accumulato un’inflazione di quasi il 24% contro il 16,4% della Germania. Dunque, la competitività persa dalla nostra economia nel periodo fu doppia di quella che teoricamente abbiamo recuperato nel decennio successivo.

E chiaramente, non basta avere una crescita dei prezzi più lenta di quella che si ha in un’altra sola economia. Tuttavia, non dobbiamo neppure sottovalutare il segnale che sta emergendo dai dati macro: l’Italia sta abituandosi a livelli di bassa inflazione, si sta un po’ germanizzando. Non che la Germania si stia italianizzando, ma perlomeno la buona congiuntura della sua economia ha negli ultimi anni sostenuto tassi d’inflazione maggiori dei nostri.

Anche rispetto alla media dell’Eurozona stiamo andando bene. Abbiamo fatto appena meglio nel decennio passato e praticamente alla pari in quello precedente ancora. In sintesi, adesso dobbiamo rilanciare la domanda interna, certamente non a colpi di deficit, ma attirando capitali e incoraggiando la produzione. I bassi consumi sono stati la spia di riforme economiche al palo, di una produzione delle imprese praticamente stagnante dopo il crollo subito nei lunghi periodi di recessione tra il 2008 e il 2014. Il loro rilancio passa proprio per il miglioramento delle condizioni fiscali, burocratiche e infrastrutturali. A questo servono le riforme. E se manterremo bassa inflazione anche in futuro, l’outlook per le nostre esportazioni migliorerebbe ulteriormente.

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