La scorsa settimana è arrivato l’annuncio che l’Irlanda è uscita formalmente dal piano di salvataggio messo in piedi tre anni fa dalla Troika (UE, BCE e FMI), potendo tornare nel 2014 sui mercati per rifinanziare il suo debito pubblico. Una situazione resa possibile dal crollo dei rendimenti sui suoi bond, il cui spread è inferiore di circa 50 punti base persino a quello di paesi come Italia e Spagna. E l’Italia non è mai stata sottoposta ad alcun programma di assistenza finanziaria.

 

Crisi Irlanda. Ecco perchè non c’è nessun miracolo irlandese

La Germania ha potuto affermare con orgoglio che Dublino sarebbe la dimostrazione che le politiche di risanamento funzionano, se ben attuate.

Senza volere entrare nel merito di questa affermazione, ci sarebbe da chiedersi di quale risanamento stiamo parlando. Il deficit pubblico è al 7,3% del pil, mentre il debito pubblico celtico è esploso dal 91% del 2010 al 121% di quest’anno, +30% in tre anni.

 

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L’indebitamento delle famiglie, invece, è pari al 200% del pil e il 17% dei mutui complessivamente erogati presenta ritardi nei pagamenti delle rate di oltre sei mesi. E se le banche volessero riscuotere il credito vantato, dovrebbero fronteggiare un crollo del 56% dal 2008 ad oggi del valore degli asset sottostanti il prestito.

Si dirà, ma c’è la ripresa. Il pil è in calo dell’1,2% su base annua e l’occupazione è scesa in quasi sei anni del 12,8%, mentre è quasi triplicato il numero dei disoccupati, passando dai 107 mila del gennaio 2008 ai 296 mila di oggi. E senza contare che sono ripartiti i flussi migratori, con 33 mila irlandesi che mediamente ogni anno nell’ultimo quinquennio hanno lasciato il paese per cercare lavoro all’estero.

Ora, che il governo di Dublino si sia distinto per una maggiore stabilità e per una credibilità che gli altri Piigs non hanno mostrato è senz’altro vero.

Com’è vero che i contribuenti irlandesi si sono dovuti sobbarcare 60 miliardi di perdite delle loro banche. Ma che il risultato sia stato un successo non è per niente certo.

 

Boom export Irlanda e rendimenti bassi: come si spiegano

Il boom delle esportazioni, pari a oltre il 100% del pil, si spiega facilmente con il fatto che Dublino attira grosse multinazionali di tutto il pianeta, grazie all’aliquota del 12,5% sui profitti, ma anche e soprattutto perché il suo sistema fiscale a maglie larghissime consente a colossi come Facebook o Google di pagare briciole in tasse, spostando qui la loro sede legale, ma gli utili in paradisi fiscali, attraverso un sistema di cosiddetta triangolazione geo-fiscale.

La conseguenza è che quand’anche Facebook abbia sede a Dublino, ciò non porta all’Irlanda né occupazione, né gettito. Ma abbellisce le statistiche così apprezzate da Bruxelles.

E i rendimenti perché sono così bassi sui suoi bond sovrani? Perché gli investitori hanno capito che con l’OMT, la BCE non farà fallire nessuno. I più alti tassi richiesti dal mercato sui BTp e i Bonos dipendono essenzialmente da alcune peculiarità negative specifiche dei due paesi, come la cronica instabilità politica di Roma, che ne fa una piazza persino considerata più rischiosa di quella celtica. 

Insomma, di miracoli se ne sono visti ben pochi in questa Eurozona dal 2008 ad oggi. E di certo non n’è avvenuto alcuno a Dublino.