La settimana sui mercati si è chiusa con la risalita dei rendimenti obbligazionari nell’Eurozona. Il BTp a 10 anni si è riportato sopra il 4,40% dopo che era sceso sotto il 4,30%. E il Bund di pari durata, che martedì offriva il 2,55%, è salito al 2,65%. Questi movimenti sono arrivati dopo che alcuni “falchi” che siedono al board della Banca Centrale Europea (BCE) hanno avvertito che un ulteriore aumento dei tassi di interesse non sarebbe da escludere.

“Falchi” frenano sul taglio dei tassi

Il governatore austriaco Robert Holzmann ha dichiarato che le probabilità di una nuova stretta sarebbero non inferiori a quelle di una riduzione dei tassi BCE.

E il suo collega tedesco, Joachim Nagel della Bundesbank, ha spiegato che il costo del denaro sarebbe grosso modo arrivato al picco, ma che il lavoro per combattere l’inflazione non è finito. Pertanto, non è detta l’ultima parola sui tassi. Holzmann ha fatto presente che le divergenze di opinioni nei prossimi mesi in seno al board dipenderanno anche, se non soprattutto, dai livelli d’inflazione registrati nei vari paesi.

Inflazione ancora alta in Germania

In breve, chi ha visto scendere nel proprio paese l’inflazione bruscamente sarà meno portato a sostenere un altro aumento dei tassi BCE. Viceversa, chi registra in patria tassi d’inflazione ancora elevati. Ad esempio, l’inflazione italiana ad ottobre è scesa all’1,7%, sotto il target del 2%. In Austria, era al 5,4% e in Germania al 3,8% contro una media del 2,9% nell’intera area. Naturale che i governatori dei due paesi non vogliano porre limiti alla stretta monetaria, indipendentemente dalle loro preferenze.

Dunque, il mercato sbaglia a scontare tassi BCE in calo dell’1% entro fine 2024? La realtà è più complicata. In questa fase, la faccia da duri aiuta. Se i rendimenti scendono troppo, di fatto anticipando l’allentamento monetario, il rischio è che l’inflazione torni a salire nell’area per le migliorate condizioni sui mercati finanziari.

E ciò renderebbe più faticoso il lavoro di Francoforte. Nei mesi scorsi, al contrario, il boom dei rendimenti aveva fatto parte del lavoro spettante alla BCE, restringendo le condizioni monetarie e così accelerando il calo dell’inflazione.

Bluff su aumento tassi BCE

Si tratta almeno in parte di un bluff: dire una cosa senza che necessariamente sia vera. Basti pensare che il BTp a 10 anni è passato in poco più di un mese dal 5% al 4,30%. Bisogna porre una frenata a questo trend per qualche mese ancora, il tempo che l’aumento dei tassi BCE dell’ultimo anno dispieghi del tutto i suoi effetti. Come? Colpendo il mercato del credito e riducendo così gli acquisti di beni durevoli e di case da parte delle famiglie, nonché gli investimenti delle imprese.

Senza girarci troppo attorno, quando Christine Lagarde guarda con preoccupazione ai dati macroeconomici, intravedendovi il rischio di una recessione, sta bluffando anch’ella. E’ proprio il risultato a cui puntava l’istituto da lei guidato. Purché la situazione non sfugga di mano. La disinflazione dovrà proseguire con un “atterraggio morbido” dell’economia. Guai se questo fosse “duro” (“hard landing”), magari per effetto di un “credit crunch”. In quel caso, il taglio dei tassi BCE sarebbe vicino.

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