Quanto è accaduto nelle scorse ore a Chiasso, comune svizzero di lingua italiana e ai confini con la Lombardia, è eloquente sulla fuga delle imprese all’estero. Il comune ha organizzato una giornata di incontro con gli imprenditori italiani interessati a conoscere gli aspetti fiscali e burocratici, relativi al fare impresa in Svizzera.

Per ragioni logistiche, le richieste erano state limitate al numero massimo di 200, ma ne sono pervenute 682. Alla fine, il sindaco Moreno Colombo ne ha fatte selezionare 168 e invitato 220 persone, per lo più delle province di Como e Varese, ma altri sono arrivati anche dal Piemonte o dalle Marche.

 

Tassazione in Svizzera vs pressione fiscale in Italia: non c’è paragone

Ad accorrere sono stati imprenditori, piccoli artigiani, manager, tutti interessati ad ascoltare, a sentire cosa abbiano da proporre Chiasso e la Svizzera. E il confronto con l’Italia è spiazzante, ci umilia come paese. Qui, l’IVA è ancora ferma all’8%, quando in Italia si discute se portarla al 22%. La pressione fiscale media sulle imprese è di appena il 17,1%, quella complessiva è meno della metà del 68,3% dell’Italia. Chi investe a Chiasso e assume lavoratori locali ottiene il rimborso totale degli oneri sociali, mentre in alcune occasioni si può anche non pagare alcuna tassa per un anno. E gli investimenti in settori innovativi godono di contributi a fondo perduto per la misura di un quarto.

L’iscrizione al Registro del commercio avviene entro 15 giorni, la burocrazia è snella, rapida, comprensibile.

L’incontro mirava proprio ad informare i potenziali nuovi imprenditori italiani in Svizzera sulle norme fiscali e sulla burocrazia vigenti nel comune di Chiasso, oltre che a mostrare i minimi salariali per categoria, obbligatori per legge. Perché qui chi sgarra, paga. E nel caso di un imprenditore straniero, se sbaglia, può fare le valigie e tornarsene a casa.

E il sindaco spiega bene cosa vogliano i chiassesi: niente bancari e segretarie dall’Italia, sì agli operai specializzati.

Niente imprese in crisi nel Bel Paese, che si trasferiscono in Svizzera alla ricerca di una soluzione ai propri problemi. Chiasso, la Svizzera vogliono solo imprese solide, come quelle in rappresentanza delle quali si sono presentati i 220 selezionati.

 

In Svizzera c’è spazio sono le per le aziende sane e proiettate nel futuro

Anche la tipologia d’impresa è importante. Chiasso è interessata ai servizi, alla tecnologia, al digitale, insomma a tutto ciò che rappresenta il nuovo. Di spazio per nuovi capannoni ce n’è poco e forse niente. Non che siano sgraditi, ma la preferenza va certamente ad altro tipo di iniziative imprenditoriali.

Per comprendere perché gli imprenditori e i manager accorsi a Chiasso siano tornati in patria ancora più disgustati dal sistema italiano, basta guardare al cartello all’ingresso della cittadina elvetica: “Benvenuta impresa nella città di Chiasso“.

L’espressione è laconica, austera, poco fantasiosa. Noi italiani siamo certamente più bravi a scrivere cartelli più appetibili. Ma solo quello. Quando mai si è visto un comune italiano salutare l’impresa? Intervistati dai giornalisti italiani, curiosi di scoprire la reazione della carica dei 220, c’è chi fa notare che “quando arriva un imprenditore in Svizzera, qui lo accolgono le autorità. In Italia gli mandiamo la Guardia di Finanza“.

Un episodio che forse non va ingigantito, ma nemmeno minimizzato, quello di Chiasso. Le imprese italiane sono arci-stufe di un fisco oppressivo, di uno stato che non funziona, di servizi inefficienti, etc. I servizi giornalistici che fotografano la fuga all’estero, sia essa verso la Moldovia, la Polonia, la Romania, la Svizzera, la Croazia, etc., sono numerosi e le statistiche sono sempre più impietose. Non ultimo, il rapporto della Commissione UE sulla competitività ci pone agli ultimi posti della classifica europea. 

 

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