Parliamoci chiaramente: tutti vorremmo essere anche oggi come la Germania. Disoccupazione al 5,7%, tasso di occupazione sopra il 77%, PIL pro-capite superiore a 46.000 euro e debito pubblico intorno al 65% del PIL. Può sembrare ridicolo che un’economia con questi numeri torni ad essere definita oggi il “malato d’Europa”. L’espressione risale alla fine degli anni Novanta e fu coniata dalla stampa britannica per descrivere le condizioni negative in cui allora versava la Germania negli anni successivi alla riunificazione. Anche in quel periodo, tuttavia, c’era esagerazione in questa affermazione.

Si sa che gli inglesi tendano a guardare dall’alto in basso quei paesi che considerano principali rivali geopolitici e in economia. Il Regno Unito andava a gonfie vele dopo la cura del thatcherismo e sembrò potersi permettere tale sufficienza con i tedeschi.

A ogni modo, ci fu del vero in quelle parole, come del vero dice oggi chi le ripete, pur sussurrando. Il PIL tedesco è l’unico tra le grandi economie ad essere entrato in recessione già nel primo trimestre dell’anno. L’inflazione, come del resto in quasi tutto il mondo ricco, resta ai massimi da una quarantina di anni a questa parte. La produzione industriale arretra, la manifattura è in crisi e anche i servizi segnalano un indebolimento. L’economia della Germania era andata avanti negli ultimi decenni a colpi di esportazioni favorite da produzioni a basso costo grazie all’energia a buon mercato importata dalla Russia. Quel mondo sembra finito, tra guerra russo-ucraina e tensioni con la Cina.

Riforme impopolari di Schroeder

Se la Germania è tornata “malata”, qual è la causa e come si può curare? Torniamo a una ventina di anni fa. Cancelliere era quel “grigio” socialdemocratico Gehrard Schroeder, che all’estero non ispirò mai eccessiva simpatia. Ma era un politico di razza. Riportò l’SPD al governo dopo sedici lunghi anni all’opposizione.

Trovò un paese riunificato, ma in affanno per i costi che aveva comportato la caduta del Muro. Si assunse la responsabilità storica di attuare riforme economiche impopolari e pur necessarie. Allungo l’età pensionabile, rese più flessibile il mercato del lavoro e tagliò i sussidi con il famoso e contestatissimo Hartz IV.

Le riforme di Schroeder furono politicamente costosissime, tant’è che perse il consenso a sinistra e fu costretto nel 2005 a dimettersi dopo essere stato sconfitto nella roccaforte “rossa” del Nord-Reno-Vestfalia. Un po’ come se il PD in Italia perdesse in Emilia-Romagna. Mai nella storia recente vi è stato probabilmente un politico tedesco più detestato di Schroeder. Va da sé che a destra non lo abbiano mai amato, mentre a sinistra gli addebitano lo smantellamento di quello stato sociale caro alla socialdemocrazia. Non ha aiutato che sia andato a fare il consigliere di Vladimir Putin, finendo nel CDA di Gazprom.

Lunga era Merkel

Fatto sta che l’uomo è rimasto senza eredi. Dopo di lui ci sono stati ad oggi diciotto lunghissimi anni di nullità politica. E l’era di Angela Merkel? Sedici anni di assoluto immobilismo sul piano economico. Non esiste una sola riforma che sia stata varata dalla prima cancelliera donna della Germania. Tutto è rimasto perfettamente immobile. L’ex “ragazza di Kohl” fu abilissima, però, nel raccogliere i frutti delle riforme varate dal suo predecessore. Non vi aggiunse altro, un po’ perché l’economia già cresceva e non avvertiva il bisogno di fare di più, un po’ perché per dodici dei suoi sedici anni di governo li trascorse in coalizione proprio con gli avversari dell’SPD.

Merkel è stata una politica di razza nel mantenere il potere, non nell’esercitarlo a favore o contro qualcosa. Sotto di lei la leadership della Germania in Europa è stata più incerta che mai.

Si pensi agli anni drammatici della crisi dei debiti sovrani. Fummo ad un passo dall’uscita dell’euro della Grecia perché la cancelliera non si decideva a propendere per alcuna soluzione. L’euro è rimasta una moneta unica disfunzionale proprio per non urtare la suscettibilità dei tedeschi su temi come i conti pubblici. L’abilità dell’era Merkel fu di non fare nulla che indispettisse qualcuno. E poiché l’economia andava bene, nessuno si lamentò. Peccato che con quella congiuntura favorevole la cancelliera non c’entrasse quasi niente.

Germania malata di immobilismo anche sotto Scholz

Ora Merkel è fuori dai giochi da oltre un anno e mezzo. A succederle vi è stato un socialdemocratico, ma che sembra la sua fotocopia in politica estera e interna: Olaf Scholz. Noto all’interno del suo partito per non avere alcuna idea chiara su nulla, si ritrova per la prima volta nella storia post-bellica tedesca a guidare una maggioranza di tre partiti. Insieme a Verdi e liberali dell’FDP deve gestire una situazione politica complessa e confusa. Con Scholz non c’è chiarezza né sugli obiettivi, né sulla strada da percorrere per arrivarci. E’ la sommatoria di tante proposte contrastanti, una Merkel al quadrato. A differenza di quest’ultima, però, risulta assai impopolare. La fortuna ha voltato le spalle alla Germania, che deve fare i conti con i mali cronici irrisolti: eccesso di burocrazia, mancate liberalizzazioni nei servizi, scarsi investimenti nella digitalizzazione, alta pressione fiscale ed eccessiva dipendenza dalle esportazioni.

L’indecisionismo è la vera malattia di cui soffre la Germania, e da quasi un ventennio. La longevità dell’era Merkel ci aveva illusi che fosse il frutto di capacità sovraumane di gestire situazioni complesse assumendo decisioni impopolari e necessarie. Invece, l’unica volta in cui l’ex cancelliera andò contro l’opinione pubblica e del suo partito fu nel 2015 quando spalancò le frontiere a 800.000 profughi, in gran parte siriani. Un disastro sul piano politico di cui la CDU-CSU paga ancora le conseguenze, avendo il fiato sul collo alla sua destra degli euro-scettici dell’AfD.

Per il resto, Merkel è stata bravissima nel calciare il barattolo giorno dopo giorno tra il 2005 e la fine del 2021. Lo stesso ha inteso fare Scholz, con la sfiga di essere arrivato alla fine del marciapiede.

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