Mercoledì, il Cremlino ha comunicato all’Europa una notizia dirompente per i mercati: accetterà i pagamenti del gas solo in rubli per i paesi “non amici”. Questo significa che gli stati europei dovranno provvedere sin dai prossimi giorni a pagare le forniture non più in euro o dollari, bensì in valuta russa. Altrimenti, niente forniture. L’Italia è stata la prima o tra le prime a reagire, dichiarandosi “tendenzialmente non intenzionata” a seguire l’ordine di Mosca. La Germania ha detto la sua nelle ore successive, sostenendo che la richiesta arrivata da Vladimir Putin sarebbe una “violazione contrattuale”.

Quanto sta accadendo è chiaro. La Russia è stata messa nell’angolo dalle sanzioni dell’Occidente, che le hanno tra l’altro “congelato” quasi la metà delle riserve valutarie, qualcosa come 300 su oltre 640 miliardi di dollari. La Banca di Russia ha da un mese poche risorse con le quali intervenire a sostegno del cambio. Di fatti, il rublo è arrivato a perdere il 50% contro il dollaro. Tuttavia, il giorno dopo alla notizia sui pagamenti del gas in rubli, la valuta emergente scambiava a circa 95 contro il dollaro, riducendo le perdite a meno del 20% rispetto ai livelli pre-bellici.

Il cambio si rafforza per un motivo semplice: i clienti europei dovranno acquistare rubli per pagare il gas. La maggiore domanda si tradurrà per l’appunto in un cambio più forte per la Russia. Per contro, essa si priverà di valuta straniera forte, ma al momento la sua principale preoccupazione risiede nel contenere i danni delle sanzioni. Un rublo troppo debole finirebbe per alimentare l’inflazione, già attesa sopra il 20% quest’anno.

Gas in rubli o stop a forniture Russia

Ma se gli stati europei vieteranno alle rispettive compagnie di effettuare i pagamenti del gas in rubli, Gazprom avrebbe come unica soluzione quella di interrompere loro le forniture. E, in effetti, alle capitali del Vecchio Continente la mossa di Putin è parsa essere un ricatto a tutti gli effetti.

Va detto che non si capisce la ragione per cui il presidente russo non abbia sfoderato prima quest’arma. Due le ipotesi: confidava probabilmente in una risoluzione veloce delle controversie con l’Occidente, oppure ha nel frattempo messo in cassa sufficiente valuta estera forte con la vendita di gas e (meno) petrolio da sentirsi tranquillo circa la capacità di resilienza futura di Mosca alle sanzioni per le prossime settimane.

Sta di fatto che la notizia ha avuto l’effetto di far salire i prezzi di gas e petrolio sui mercati, con il primo tornato sopra 130 euro per mega-wattora e il secondo a 120 dollari al barile. Sul piano diplomatico, in effetti, non solo non si stanno compiendo passi in avanti sull’Ucraina, ma dal Consiglio europeo di giovedì, al quale ha partecipato il presidente americano Joe Biden, sono arrivate ulteriori sanzioni europee contro la Russia. A questo punto, lo scenario di un “blackout” energetico per il nostro continente si avvicina. Con l’eventuale interruzione delle forniture di gas, l’Europa dovrebbe attingere alle già scarne riserve, nel frattempo aumentando le importazioni dagli altri fornitori, tra cui Algeria e Qatar.

Poiché la Russia ci rifornisce di circa il 40% di tutto il gas che consumiamo, neppure le forniture alternative sarebbero nel breve e medio periodo capaci di rimpiazzarla. Ed ecco che si prospetterebbe una crisi energetica vera e propria: razionamenti dei consumi imposti dai governi per garantire le utenze domestiche e alle imprese minime; ricorso a fonti alternative, tra cui carbone e nucleare per restare alle parole di questa settimane del commissario al Mercato interno, Thierry Breton. Ma non facciamoci illusioni, perché non esiste alcuna soluzione praticabile indolore che ci consentirebbe di fare a meno del gas russo dall’oggi al domani.

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